Un’indagine lunga quattro anni, piena di colpi di scena e misteri, che alla fine si è praticamente capovolta. L’inchiesta sulla Curia di Trapani si arricchisce, infatti, di un altro capitolo: da presunta parte lesa l’ex vescovo Francesco Micciché è adesso indagato per calunnia e diffamazione ai danni di Antonino Treppiedi, il sacerdote che nella fase iniziale dell’indagine era indicato come l’autore di accuse false proprio nei confronti del suo stesso presule. L’accusa di calunnia per l’ex vescovo si somma a quelle di appropriazione indebita e malversazione di fondi pubblici: reati ipotizzati dalla procura trapanese nei primi mesi del 2015. Durante l’estate, invece, la sezione di polizia giudiziaria della guardia di Finanza ha perquisito la villa di Monreale dove Miccichè ha fissato la sua dimora dopo la “defenestrazione” decisa dal Vaticano.
Dopo quelle perquisizioni, gli investigatori hanno contestato all’ex vescovo di aver trafugato alcuni beni culturali dal patrimonio della Fondazione Auxilium, un grande centro fisioterapico della curia in cui lavorano oltre 300 persone. Ed è proprio da quella fondazione che ha origine una delle più controverse vicende mai vissute dalla curia trapanese: la gestione finanziaria dell’Auxilium, amministrata da Teodoro Canepa, cognato del Vescovo, era infatti al centro di un’inchiesta giornalistica pubblicata dal quindicinale l’Isola nel 2010. Articoli che finiscono agli atti della procura e che sono precedenti all’arrivo a Trapani di monsignor Domenico Mogavero, vescovo della vicina Mazara del Vallo, inviato dalla santa sede come “visitatore apostolico”, e cioè un vero e proprio ispettore, chiamato a fare luce sulla gestione Miccichè.
Dopo l’invio di Mogavero il Vaticano decide di destituire Micciché, mentre l’inchiesta della procura, in quel momento priva di vertice, imbocca un’altra pista: l’ex vescovo viene indicato come parte lesa, mentre Treppiedi, suo grande accusatore ed ex economo della curia, finisce indagato per riciclaggio e calunnia insieme ad altre tredici persone. Le accuse nei confronti del sacerdote sono state archiviate nelle scorse settimane dal gip Emanuele Cersosimo, dopo che Treppiedi ha iniziato a collaborare con i magistrati, mettendo anche a verbale dichiarazioni contro il senatore di Forza Italia Antonio D’Alì, sotto processo per concorso esterno a Cosa nostra davanti alla corte d’appello di Palermo.
“Le dichiarazioni del Miccichè si sono rilevate di scarsa attendibilità”, scrivono gli inquirenti nel decreto di dissequestro dell’ex canonica di Alcamo. È però da un’altra inchiesta imbarazzante per gli ambienti ecclesiastici siciliani che la procura di Trapani, dal 2012 guidata da Marcello Viola, ottiene nuovi elementi: l’ex direttore della Caritas Sergio Librizzi, accusato di reati a sfondo sessuale, ha infatti raccontato ai pm di come dal 2000 l’ex vescovo si fosse appropriato di una parte dei fondi provenienti dall’8 per mille (circa 800mila euro), già dall’anno 2000. Accusa che ha portato gli inquirenti ad effettuare un blitz nella villa di Micciché, dove tra quadri del ‘500, crocifissi e gioielli in corallo e avorio, gli uomini delle Fiamme gialle hanno trovato anche un pc. Tra i file, come ha raccontato l’edizione locale di Repubblica, anche diverse fotografie di bambini ritratti in pose osé. Resta da capire se l’ex vescovo utilizzasse di persona quel computer, o se fosse nella disponibilità di terze persone: solo uno dei tanti interrogativi da sciogliere in un’inchiesta che da quattro anni regala colpi di scena in sequenza, tra incenso, denaro e accuse al vetriolo.