In Giappone per la prima volta il Dottore è stato competitivo anche nelle prove, merito del lavoro del team, in grado di fornirgli una moto a tratti estrema. In gara, poi, la freddezza e la capacità di leggere la competizione hanno permesso al pilota di Tavullia di fare il resto
È uno strano caso quello di Valentino Rossi. Un po’ come per il dottor Jekyll e Mr. Hyde. Due identità: così lento nelle prove libere, così veloce in gara. Ma in Giappone c’è una novità. Valentino ha portato a termine la trasformazione già nella giornata di sabato. Quando è riuscito ad essere finalmente competitivo. E a stare, nel secondo turno di qualifiche, a soli 81 millesimi dalla pole di Jorge Lorenzo. Merito di Rossi, certo. Ma soprattutto del lavoro del suo team. Ennesima prova del fatto che questo è tutt’altro che uno sport individuale. La M1 di Valentino stavolta è quasi perfetta nelle Q2.
Tanto da essere definita da molti “rivoluzionaria” nel setting. Il pilota di Tavullia, però, non è d’accordo: “Non è una moto rivoluzionaria – dice ai microfoni di Sky Sport MotoGp –, anche se in effetti è un po’estrema. In Malesia, potrebbe essere utile. Ma in Australia no, perché quella è una pista diversa da tutte le altre. E quindi bisognerà trovare un setting differente”. Tradotto: da venerdì si riparte da capo. Cosa che però era più che intuibile, trattandosi di Phillip Island. Mentre decisamente meno scontato era il ruolino di marcia che Valentino ha tenuto in questa parte di campionato. Perché Rossi è riuscito a rispondere colpo su colpo a Lorenzo, proprio nella porzione del calendario più ostica al Dottore. Cioè tra Silverstone, Aragon e Motegi, con Misano come unica isola felice tra la fine di agosto e l’inizio di ottobre.
Adesso mancano solo tre gare alla fine della stagione, e Valentino ritrova due piste che gli piacciono molto: Phillip Island e Sepang. Circuiti dove però anche Lorenzo è sempre andato molto forte. Negli ultimi tre anni, quando gli è andata male è arrivato secondo, in Australia, e in Malesia è sempre salito sul podio. Ma se il talento è una dote indubbiamente innata per entrambi, il vero asso nella manica di Valentino è qualcosa che si può solo costruire nel tempo. E ce ne vuole tanto, di tempo. È l’esperienza, e in questo il Dottore non è secondo a nessuno. Con una gestione perfetta della pressione (altissima, per sua stessa ammissione, in quelle condizioni di pista) e delle gomme (le stesse del compagno di box), l’esperienza del 46 ha fatto la differenza anche ieri.
Tanto che Jorge non ha nascosto che per recuperare quei 18 punti che lo dividono da Rossi servirà anche l’aiuto di Marquez, di Pedrosa e delle Ducati. Che dovranno rubare punti al pilota italiano per tenere vivo il sogno mondiale del maiorchino. I 25 punti di Motegi, intanto, vanno a Dani Pedrosa. Che in un colpo solo arriva a 50 vittorie nel Motomondiale, raggiunge Angel Nieto a quota 139 podi in carriera e timbra la sua 14esima stagione consecutiva nella quale è salito almeno una volta sul gradino più alto del podio. Ma i 4 punti più pesanti sono indubbiamente quelli che guadagna Rossi su Lorenzo. E chissà cosa ne pensa Jorge, che dopo il ritiro di Casey Stoner avrà creduto di doversi guardare solo da Marc Marquez. Invece, come ha scritto Enrico Borghi su Motosprint, “si è materializzata davanti ai suoi occhi un’annosa, storica ossessione: Valentino Rossi”. D’altronde, quello del numero 46, rinato dalle sue ceneri dopo il disastroso biennio con la Ducati, è uno strano caso. Come nei migliori romanzi.
@fraberlu