Il numero uno Müller ha annunciato tagli a tutto ciò che non è necessario. Secondo la stampa tedesca, dunque, anche agli aerei privati (che costano anche 22.000 euro l'ora), alle sponsorizzazioni sportive e culturali e, forse, a progetti "mangia soldi" come la nuova Veyron
La festa è finita. In casa Volkswagen è arrivata la quaresima. Matthias Müller, il nuovo amministratore delegato (nella foto) del gruppo travolto dallo scandalo emissioni, ha annunciato ai dipendenti che il piano di “risanamento” sarà doloroso. Sia i sindacati sia il Land della Bassa Sassonia, di fatto il secondo azionista, hanno fatto capire chiaramente che la misure di razionalizzazione non dovrebbero prevedere licenziamenti. La controllata Financial Services ha già annunciato che fino alla fine dell’anno non ci saranno né nuove assunzioni né inserimenti, neanche con formule diverse. Le speculazioni su quanto il “dieselgate” possa costare a Volkswagen AG sono diventate un terno al lotto (100 miliardi di dollari l’ultima previsione di un esperto), anche perché l’Epa sta indagando su un secondo software “sospetto”, l’Aecd (Auxiliary Emissions Control Device).
Quasi certamente i top manager, fra i quali non dovrebbe più esserci Martin Winterkorn del quale la Süddeustche Zeitung anticipa le dimissioni anche dagli incarichi in seno al gruppo (presidente del Consiglio di Sorveglianza di Audi e della Holding Nutzfahrzeuge, nonché membro del CdS di Porsche SE, la finanziaria attraverso la quale i Piech e i Porsche controllano il colosso di Wolfsburg), dovranno rinunciare a molte trasferte con i jet privati. È ancora una ipotesi, ma Müller aveva assicurato che ogni capitolo di spesa sarebbe finito sotto la lente di ingrandimento.
Con 22.000 euro di costo per ora di volo è impossibile che questo privilegio non venga colpito dalla mannaia della razionalizzazione. A tanto ammonta, ad esempio, la trasferta con l’Airbus ACJ319, il più grande degli apparecchi della flotta di Lion Air, una controllata del gruppo. Secondo l’edizione domenicale della Bild, la società disporrebbe di dieci aerei, fra i quali anche i modernissimi Dassault Falcon 7X (quattro) e, appunto, l’Airbus pagato 70 milioni di euro. Al venerdì, i manager di spicco (i membri del Board of Management, alcuni numeri uno dei 12 marchi e diversi dirigenti “plenipotenziari”) vengono “aviotrasportati” a casa e quindi riportati nel quartier generale al lunedì con partenze e decolli dallo scalo di Braunschweig. Bernd Osterloh, il potente capo dei Consigli di fabbrica del gruppo, ha spiegato di aspettarsi dai manager gli stessi sacrifici pretesi dai lavoratori, che sicuramente dovranno dire addio ai bonus annuali. Naturalmente in maniera proporzionale. Un “de profundis” per i voli privati.
La scure si abbatterà quasi certamente anche sulle sponsorizzazioni. In particolare quelle calcistiche, anche se in taluni casi si tratta quasi di “briciole”. Sostenere il DFB Pokal, la Coppa di Germania, costa 5 milioni: il logo Volkswagen compare sulle divise di tutte e 64 le società che vi prendono parte. Tra Bundesliga (la serie A del calcio tedesco) e Zweite Bundesliga (serie B), 17 società vengono foraggiate. Il Wolfsburg è addirittura posseduto al 100% da Volkswagen. Verranno rivisti anche i piani delle attività sportive motoristiche. Nelle competizioni, il gruppo (e non solo il singolo brand) investirebbe circa un miliardo l’anno. Sempre secondo la Bild am Sonntag, l’operazione più costosa sarebbe la partecipazione alla 24 Ore di Le Mans: 300 milioni li spenderebbe Audi e altri 400 Posche. Anche gli investimenti in campo culturale o con grandi star (tipo la campagna con Robbie Williams) verranno sforbiciati. Winterkorn aveva fatto in tempo in estate a prolungare l’intesa con il Moma di New York, ma potrebbe essere a rischio l’operazione progettata in Cina. In Italia, Volkswagen sostiene ad esempio la stagione dell’Arena di Verona.
Anche gli investimenti verranno rivisti: verrà salvato solo ciò che verrà ritenuto strettamente necessario. E, naturalmente, in grado di assicurare margini. Per questa ragione secondo Automotive News Europe potrebbe venire messo in dubbio lo sviluppo dell’erede della Bugatti Veyron, secondo un’indagine di Bernstein Research (peraltro contestata dal costruttore) l’auto che non conviene vendere: per ciascun esemplari venduto (449 unità) veniva contabilizzato un rosso di quasi 5 milioni di euro.