There are some potentially catastrophic events that must be considered.
Once the effects are measurable, they might not be reversible.
The greenhouse effect would require major reductions in fossil fuel combustion.
Quanto tempo prezioso abbiamo perso nella lotta ai cambiamenti climatici perché i negazionisti si aggrappavano a teorie sul fatto che il clima non cambia, e che anche se cambia è tutto naturale, e che mai e poi poteva essere colpa dell’uomo?
Risposta: tanto, troppo tempo.
La Imperial Oil era una ditta petrolifera di proprietà della Exxon che aveva iniziato a trivellare in Artico, prima ancora della Shell, negli anni ’70. Dopo avere bucato circa venticinque pozzi avevano abbandonato tutto perché i costi erano proibitivi: venti forti, temperature gelide, difficoltà logistiche, ghiacci impenetrabili.
Intanto fra gli scienziati del colosso energetico iniziava a farsi strada l’idea che il clima cambiava, diventava più caldo, proprio a causa dell’uso smisurato di fonti fossili. Che fare? Il ragionamento della Exxon era semplice. Se ci sono i cambiamenti climatici, forse le cose diventano più facili in Artico. Forse i costi e le difficoltà diventano minori. Forse ne vale la pena di studiarli meglio questi cambiamenti climatici. Se non lo facciamo noi, lo farà un altro.
E fu così che fra la fine degli anni 1970 e la metà degli anni 1980 la Exxon è stata all’epicentro dello studio dei cambiamenti climatici, con studi interni, scienziati al proprio soldo, e consulenze con la Columbia University e l’Mit, con speciale enfasi sull’Artico.
Fra i vari progetti quelli di uno studente estivo, Steve Knisely, che nel 1979 predisse che l’uso indiscriminato di fonti fossili avrebbe portato all’aumento di concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera da 280 ppm, prima della rivoluzione industriale, a 400ppm nel 2010. Disse che se si voleva evitare il raddoppio di CO2 in atmosfera, si sarebbe dovuto lasciare l’80% delle fonti fossili nel sottosuolo.”Il problema è grande ed urgente”. Era solo uno studente, ma aveva capito.
Arrivano allora modelli, simulazioni, dati presi dagli studi scientifici Nasa e dal centro climatico canadese. Erano quegli stessi dati e quegli stessi modelli che per venti anni la Exxon avrebbe poi pubblicamente detto di essere non affidabili e basati su scienza fasulla. Ma all’inizio, non c’erano contoroversie o dubbi. I cambiamenti climatici erano considerati veri da tutti gli scienziati che lavoravano per la Exxon. I documenti interni parlano di unanimità. Anzi, si disse addirittura che alla Exxon avrebbe dovuto essere riconosciuto il ruolo di pioniere nello studio dei cambiamenti climatici. I cambiamenti sarebbero stati maggiori nei pressi dei due poli terrestri. Gli effetti sarebbero stati irreversibili a partire dal 2030.
Nell’Artico canadese gli ingegneri della Exxon inziano ad incorporare le previsioni di cambiamenti climatici nei loro progetti operativi. C’erano gruppi interi il cui solo lavoro era di capire come usare al meglio questi cambiamenti climatici per ottimizzare le operazioni della Exxon al polo nord. E cioè non per evitare che i ritmi naturali cambiassero, ma usare questi cambiamenti per far soldi. Il capo di uno di questi reparti era Ken Croasdale, senior ice researcher.
Fra il 1986 e il 1992, ogni anno Croasdale andava negli uffici di Houston per presentare rapporti sui cambiamenti climatici alla casa madre. Era tutto centrato sul business, e i cambiamenti del clima erano visti solo come metodo per abbassare i costi. E se c’erano problemi erano solo perché le alterazioni dei livelli del mare avrebbero potuto portare danni alle infrastrutture petrolifere costiere, fra cui piattaforme, isolotti artificiali costruiti come supporto per i petrolieri e le loro navi, impianti marini, oleodotti e stazioni di pompaggio. Danni alle persone, alla flora alla fauna? Danni per le generazioni future? Nessun problema, Houston.
E mentre Croasdale diceva tutte queste nelle stanze segrete della Exxon, al pubblico i gran capi dicevano il contrario: fra il 1980 e la metà degli anni 2000, centinaia e centinaia di documenti interni dicevano che occorreva seminare dubbi e divellere le paure dei cambiamenti climatici fra la popolazione.
Nel 1991, ad un convegno di ingegneri petroliferi Croasdale disse che i gas ad effetto serra aumentano a causa della combustione di fonti fossili e che i livelli di CO2 sarebbero raddoppiati entro il 2050. Nel 1992 predisse che tutto questo avrebbe portato alla diminuzione dei costi per trivellare del 30-50%. Il suo gruppo arrivò alla conclusione che i ghiacci del Beaufort Sea dell’Alaska nel giro di pochi anni si sarebbero sciolti per tre o anche cinque mesi l’anno, invece che i due prima di allora, rendendo più lunga la finestra di tempo utile per le trivellazioni in Artico.
Ci hanno azzeccato in pieno. In Alaska la stagione dei ghiacci disciolti dal 1979 ad oggi si è allungata di 79 giorni, due mesi e mezzo.
Successivamente, la Exxon e la Imperial Oil assunsero Stephen Lonergan, geografo canadese. Da lui volevano sapere esattamente cosa fare, da un punto di vista pratico, per ottimizzare percorsi e progettazione di oleodotti in Artico. Ma Lonergan non pote’ essere specifico. Nessuno avrebbe potuto. Nevi che si sciolgono, oleodotti che perdono stabilità, nuovi canali di navigazione che si aprono. Era tutto troppo grande per una azione specifica.
E poi succede qualcosa di strano. Man mano che il resto del mondo si rendeva conto dell’esistenza e degli effetti dei cambiamenti climatici, ci si rendeva conto anche della causa: l’uso smisurato di fonti fossili, e si prende coscienza che non può continuare cosi. Arriva Al Gore a popolarizzare il tutto, arrivano gli attivisti, arrivano le proposte per limitare le emissioni di CO2 in atmosfera.
E quindi la Exxon deve fare dietro front, ostacolare i trattati di Kyoto, zittire i suoi stessi scienziati e dire che no, non era vero niente. I cambiamenti climatici non ci sono. E’ tuttapposto. A volte erano gli stessi scienziati della prima ora che smentivano i loro stessi risultati. Non proprio una elegante pagina di scienza. E cosi anni preziosi sono finiti in fumo, consumati dai negazionisti.
Da allora sono passati 25 anni. Tutte le previsioni della Exxon sono ancora valide. Alcune si sono già avverate. L’aumento delle temperature in Artico è stato di tre-quattro gradi centigradi, mentre nel resto del pianeta è stato di 0.85 gradi centigradi. La Exxon Mobil e la Imperial Oil detengono 400 mila ettari di permessi trivellanti in Artico. Croasdale fa ancora il consulente per la Exxon. Probabilmente è ricco.
Tutto il resto del pianeta, in un modo o nell’altro, ha sperimentato i cambiamenti climatici.
Qui le immagini dei cambiamenti climatici in Artico e gli inganni della Exxon.