Nell’ambito del viaggio che ha portato il Primo ministro inglese Cameron a visitare le ex colonie nei Caraibi, l’appuntamento-chiave era in Giamaica. Il 30 settembre, il giorno dopo la partenza del suo illustre collega, Portia Simpson, premier locale, se n’è uscita con un annuncio roboante: il Regno Unito metterà a disposizione dell’isola, 25 milioni di sterline, per costruire una prigione nuova di zecca. Quaggiù le GP (General Prisons) risalgono al tempo della schiavitù: il carcere di Spanish Town – al centro dell’antica capitale dell’isola, Tower Street a Kingston – e quello femminile di Fort Augusta, che esistono dal 1714. E le condizioni igieniche dei detenuti, non sono cambiate una virgola da allora.
Un sacchetto e una bottiglia
Condicio sine qua non imposta dal ministro britannico per ottenere i bramati fondi è che siffatto carcere sia utilizzato per riportare i 600 detenuti giamaicani, ospiti di Sua Maestà nel loro luogo d’origine. Questi soldi serviranno a coprire solo il 40% delle spese necessarie.
Se questo succedesse, i gracili finanziamenti messi a disposizione dall’Unione europea, ai fini di alleviare gli stenti nelle galere esistenti, sarebbero penalizzati dalla mancanza del già misero supporto governativo concentrato sulla nuova opera. D’altro canto, la “generosità” inglese otterrebbe in patria il duplice scopo prefissato: depennare dalla popolazione carceraria i giamaicani, e far risparmiare al fisco circa dieci milioni annui dei contribuenti, per mantenere gli indesiderati ospiti.
Ho visitato a più riprese questi orrori; celle minuscole, senza servizi igienici e ventilazione, infestate da scarafaggi, malati di Aids mescolati a quelli sani; Spanish Town ha 5 bagni in comune e 3 docce funzionanti, su un totale di 1.100 detenuti. Dalle 18 di sera alle 6 del mattino, il condannato è rinchiuso. Per defecare, è provvisto di un giornale, dove avvolgere gli escrementi, e di una scandal bag (sacchetto di plastica) per riporli in attesa del mattino. Per urinare una bottiglia. Riguardo le signore, ricordo una diatriba che risale al 2013, quando Jamaicans for Justice, Ong locale a difesa dei diritti violati, si oppose strenuamente a una decisione governativa di trasferire le detenute dall’obsoleto Fort Augusta, al minorile di South Camp Road a Kingston. La protesta fu motivata dallo stato di estrema promiscuità in cui si sarebbero trovate a convivere prigioniere adulte e ragazzine minorenni. Con una percentuale di stupri già alta di sé, e casi di omosessualità che sono la norma nelle carceri femminili, queste tare aumenterebbero. Il governo allora giustificò questa scelta in termini di sovraffollamento, adottando come deterrente, un reticolato per separare le adulte dalle ragazze; esponendosi così al ridicolo, e mettendo in luce lo stato coloniale-punitivo del sistema carcerario.
La Giamaica viola costantemente due diritti dei detenuti, sanciti a livello internazionale. Il primo, il diritto alla difesa: nell’isola non esiste la figura dell’avvocato pro bono; una mia indagine svolta presso il Legal Aid governativo, ha accertato che la maggior parte dei detenuti poveri non ha mai incontrato un legale, per cui chi non ha soldi, non ha difesa. Alla Corte d’Appello di Kingston, ho riesumato sentenze anche di morte basate su indizi insignificanti, non supportate da perizie di medici legali. La pena di morte quaggiù è sospesa dal 1992, mai abolita però. Il secondo, il diritto alla riabilitazione: i programmi governativi sono carta straccia; solo Ong locali, come Stand Up for Jamaica, afflitte da perenne scarsità di fondi, si adoperano a tal fine; il diritto al processo d’appello, così come parole (libertà vigilata) è ignorato o rinviato ad aeternum.
L’assurdo giudiziario, sollevato dall’avvocato Paul Ashley; la nuova prigione, pagata con il 60% dei fondi locali, dovrebbe essere occupata in gran parte da giamaicani con passaporto inglese, che hanno compiuto i loro crimini sul territorio britannico, fin dalla giovane età.
Conclusioni
A Kingston, prima di andarsene, il solerte premier britannico ha deposto una perla della sua saggezza, dichiarando ora “to leave the past behind”, negando compensazioni e scuse ufficiali per i circa 300 anni di schiavitù che hanno afflitto i Caraibi sotto il dominio inglese. I 300 milioni di sterline stanziati per aiuti devono bastare. Circa un milione l’anno, da dividersi tra venti nazioni. A fronte di uno scempio che ha distrutto vite, menti ed economie, imposto la mono-cultura della canna da zucchero, e legato i Paesi ai finanziamenti interessati del Fmi e alla carità delle Ong internazionali.
Congratulations Mr Cameron!
Foto di Flavio Bacchetta