Di successi clamorosi le sale cinematografiche italiane ne hanno visti, basti pensare al Checco Zalone di due anni or sono. Ma mai ci era capitato per comprare il biglietto di dovercene stare in fila per 30 minuti, occupando addirittura una lunga porzione del marciapiede.
A smuovere la folla sono stati due titoli, entrambi frutto della macchina narrativa Usa, Inside Out e Sopravvissuto, che stanno sbancando i botteghini e non solo in Italia. In entrambi la sceneggiatura trasuda della collaudata, perfino manieristica, abilità degli scrittori di quel cinema, che a occhi chiusi sanno modulare i momenti di tensione alle pause distensive col risultato che per te in poltrona la rilassatezza non tramuta mai in noia e la suspense non scivola nella tortura.
Dato quel che va dato alla abilità industrial-artigianale, la ragione delle specifiche code al botteghino va, ad occhio e croce, cercata altrove, e cioè nella capacità di entrambi i film di identificarsi con la cultura e le auto proiezioni dell’attuale ceto medio (quello che può permettersi di spendere cinquanta euro al cinema fra biglietti, pop corn e parcheggio), frutto di settanta anni di sviluppo ininterrotto e di dilagante crescita dei livelli di istruzione. Un dato incontrovertibile, alla faccia dei dubbi che ti vengono se incappi nei talk pomeridiani.
Inside Out è la versione postindustriale del mito platonico che raffigura l’anima come una biga tirata dai due destrieri dell’istinto, quello lascivo e quello nobile, cui l’auriga del pensiero razionale tira il morso per evitare entrambe le esagerazioni. I destrieri a Inside Out sono diventati cinque (effetto della modellistica psicanalitica): Paura, Tristezza, Rabbia e Disgusto, ognuno con un suo ruolo nel farci sopravvivere nella complessità della realtà, ma una compagnia non entusiasmante non fosse che per il quinto istinto, quello della Positività (che nel cartoon prende il nome di Gioia) che punta costantemente a cercare la via d’uscita dalle situazioni imbrogliate.
Dell’Auriga, e cioè del pensiero razionale non c’è traccia, i cinque cavalli procedono per conto loro spingendosi (spingendoci) di qua e di là. E così ti saluto il libero arbitrio e tutte le costruzioni metafisiche e i concetti di colpa/peccato che su esso sono fondati. Roba che al ceto medio attuale non interessa e non serve più, evidentemente, al punto da non percepirne la mancanza e da esporre tranquillamente i bimbi a quella efficacissima lezione di “materialismo” che neppure Carlo Marx.
Qualcosa di analogo avviene in Sopravvissuto, il Robinson che si trova abbandonato su Marte e in cui, fra gli istinti conosciuti in Inside Out, il ruolo dominante lo svolge quello della Gioia/ Positività, e cioè del piacere di farcela e della spinta a riunirsi alla socialità. Così Matt Demon non demorde neppure per un attimo e utilizzando i lasciti del naufragio e il retaggio delle conoscenze, riesce a cavarsela fino all’avventuroso recupero. Due ore di film, un naufrago nell’immensità dello spazio, e mai, neppure per un istante, l’affidarsi a un qualche dio piuttosto che al proprio indefettibile buonumore. A meno che non ve ne sia stato qualche cenno che ci è sfuggito. A riprova della sua sostanziale assenza.