Dal superamento del bicameralismo perfetto, al nuovo sistema per l’elezione del presidente della Repubblica. Piccola guida alle novità introdotte con il ddl Boschi. I senatori eletti con i consiglieri regionali. Solo 100 ma con l’immunità. Aumentano le firme per i referendum abrogativi e per le leggi di iniziativa popolare. Cambiano le regole per i 5 giudici costituzionali, scelti separatamente da Camera e Senato. Abolito il Cnel
La novità principale è la fine del bicameralismo perfetto. Ma non è l’unica. C’è la riduzione del numero dei senatori, che passano da 315 a 100 (95 dei quali eletti dalle Regioni); la modifica del quorum per l’elezione del presidente della Repubblica; l’abolizione del Cnel (il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro); l’innalzamento del numero delle firme necessarie per la presentazione delle leggi di iniziativa popolare. Non solo. Fanno ingresso in Costituzione anche i referendum popolari propositivi e di indirizzo. Sono i punti fondamentali del disegno di legge di riforma costituzionale che porta il nome della ministra Maria Elena Boschi e che ha provocato fibrillazioni all’interno della maggioranza e scontri durissimi con le opposizioni, scaduti persino nell’insulto sessista. Ma come cambia nel dettaglio la Carta del 1948?
Farà tutto la Camera (o quasi)
Di fatto, con il varo della riforma, il Senato perde buona parte delle sue prerogative. I nuovi inquilini di Palazzo Madama, per esempio, non voteranno più la fiducia al governo: solo la Camera manterrà la funzione di controllo sull’operato dell’esecutivo e potrà autorizzare a procedere nei confronti di premier e ministri (anche se cessati dalla carica) per i reati commessi nell’esercizio del loro mandato. Anche per quanto riguarda le leggi la musica cambia: i nuovi senatori avranno voce in capitolo solo su quelle costituzionali, le ratifiche dei trattati internazionali che riguardano l’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, le leggi elettorali degli enti locali e quelle sui referendum popolari. Per il resto, la palla passerà completamente nelle mani di Montecitorio. Un paletto però c’è: ogni disegno di legge approvato dalla Camera verrà subito trasmesso al Senato che entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, potrà disporne l’esame. Nei trenta giorni successivi l’Aula di Palazzo Madama potrà deliberare a maggioranza assoluta proposte di modifica del testo sulle quali, in seguito, la Camera si pronuncerà in via definitiva. Ma Montecitorio potrà rispedire al mittente, bocciandole, le proposte di Palazzo Madama. Non solo. Ai nuovi senatori spetterà anche il compito di esprimersi sulle leggi di bilancio, ma avranno a loro disposizione solo 15 giorni e dovranno raggiungere la maggioranza assoluta. Ma anche in questo caso, l’ultima parola spetterà sempre alla Camera. Infine, il governo potrà chiedere alla Camera che un provvedimento ritenuto fondamentale per l’attuazione del suo programma sia esaminato in via prioritaria e votato entro 70 giorni (con possibilità di proroga per altri 15).
Meno senatori ma con l’immunità
Il ddl Boschi riduce, e di molto, il numero dei senatori che scendono da 315 a 100. Di questi, 95 saranno eletti dalle Regioni (74 consiglieri e 21 sindaci) “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Si tratta di una delle novità principali rispetto al testo uscito a marzo dalla Camera, introdotta per effetto di un compromesso tra maggioranza e minoranza del Pd, che si opponeva alla non eleggibilità dei nuovi senatori minacciando di non votare la riforma. L’intesa è stata raggiunta grazie all’emendamento firmato dalla senatrice dem Anna Finocchiaro, in base al quale sarà una legge quadro, che verrà recepita dalle Regioni entro tre mesi dall’approvazione definitiva della riforma, a stabilire se la selezione avverrà tramite preferenze, listino bloccato o a scorrimento. I restanti 5 inquilini di Palazzo Madama verranno invece nominati dal capo dello Stato e rimarranno in carica per 7 anni, senza la possibilità di essere rinominati. Non scompaiono invece i senatori a vita: saranno gli ex presidenti della Repubblica che non verranno conteggiati nel numero dei senatori scelti dal Colle. I nuovi inquilini di Palazzo Madama non riceveranno alcuna indennità aggiuntiva ma godranno dell’immunità parlamentare: nessun arresto, perquisizione o intercettazione potrà avvenire senza il via libera dell’Assemblea.
Cambia il quorum per il Colle
Un’altra novità fondamentale della riforma del duo Renzi-Boschi riguarda le modalità di elezione del presidente della Repubblica. Nel nuovo assetto scompaiono i delegati regionali, che saranno sostituiti dai ‘nuovi’ senatori, ma soprattutto cambia il quorum. Nelle prime tre votazioni resta dei due terzi dei componenti dell’Assemblea, come nell’attuale stesura della Costituzione. Dalla quarta, invece, il quorum si abbassa a tre quinti dei componenti e dalla settima ai tre quinti dei votanti. E poi, in caso di impedimento permanente, morte o dimissioni sarà il presidente della Camera, e non più quello del Senato, a sostituire il presidente della Repubblica “ad interim”. Diventando di fatto la seconda carica dello Stato
Referendum in salita
Si preannunciano tempi duri per coloro che vorranno presentare un referendum o un progetto di legge di iniziativa popolare. Nel primo caso non basteranno più 500 mila firme ma ne serviranno 800 mila. Di più: dopo le prime 400 mila la Corte costituzionale dovrà dare un parere di ammissibilità. Nel secondo caso, invece, il numero di firme necessarie viene triplicato: da 50 mila a 150 mila. Vengono però introdotti in Costituzione i referendum popolari propositivi e di indirizzo: le Camere dovranno varare una legge che ne stabilisca le modalità di attuazione.
Nomine separate per i giudici della Consulta
Un altro dei punti principali oggetto del provvedimento è quello che riguarda la nomina parlamentare dei 5 giudici della Consulta: questi non saranno più eletti dal Parlamento riunito in seduta comune ma verranno scelti separatamente dalle due Camere. Al Senato ne spetteranno due e alla Camera tre. Per la loro elezione è richiesta la maggioranza dei due terzi dei componenti per i primi due scrutini, mentre dagli scrutini successivi è sufficiente la maggioranza dei tre quinti.
Il Cnel chiude i battenti
Il premier l’aveva definito “un antipasto della semplificazione della Pubblica amministrazione”. E così la riforma costituzionale prevede l’abrogazione totale dell’articolo 99 della Costituzione, quello riguardante il Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro. Non tutto e subito, però: entro 30 giorni dall’entrata in vigore della legge verrà nominato un commissario straordinario a cui sarà affidata la liquidazione e la ricollocazione del personale presso la Corte dei Conti. Dal testo della Costituzione viene eliminato anche il riferimento alle Province. Ma sono previste anche delle premialità per le Regioni ‘virtuose’, quelle cioè con i conti a posto, che avranno la possibilità di devolution su questioni come l’istruzione e la formazione professionale. Vengono inoltre eliminate le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni: al primo viene attribuita la legislazione esclusiva in alcuni ambiti come, per esempio, la politica estera, l’immigrazione e la difesa.
Palla alla Consulta sulla legge elettorale
Il provvedimento prevede anche che prima della loro promulgazione le leggi che disciplinano l’elezione dei parlamentari, tanto a Montecitorio quanto a Palazzo Madama, potranno essere sottoposte al giudizio preventivo di legittimità costituzionale da parte della Corte (a cominciare dall’Italicum). Il ricorso motivato dovrà essere presentato da almeno un quarto dei componenti della Camera o almeno un terzo dei componenti del Senato entro 10 giorni dall’approvazione della norma. La Consulta si pronuncerà entro 30 giorni: in caso di dichiarazione di illegittimità la legge non sarà promulgata.
Maggiore equilibrio nella rappresentanza
Il ddl Boschi prevede infine la composizione di uno statuto delle opposizioni e comprende i principi fondamentali per promuovere l’equilibrio di genere tra uomini e donne nella rappresentanza. E ancora: oltre al buon andamento delle amministrazioni, le leggi che regolano gli uffici pubblici dovranno assicurare la loro trasparenza.
Twitter: @Antonio_Pitoni @GiorgioVelardi