Mentre diminuisce il numero di studenti italiani, torna a crescere quello degli alunni con cittadinanza non italiana, o correntemente stranieri, che sale a oltre 800mila, una cifra quadruplicata negli ultimi quindici anni (come raccontato da ilfattoquotidiano.it nel viaggio tra le scuole multietniche d’Italia). Per la prima volta tra questi si registra una maggioranza di studenti di origine straniera nati in Italia, la cosiddetta seconda generazione: centinaia di migliaia di ragazzi che, in attesa dell’introduzione dello “ius soli” che ne riconosca la cittadinanza per diritto di nascita, vivono spesso un’identità frammentata, sospesi a metà tra la cultura d’origine e quella ospitante, col rischio di essere vittime del pregiudizio sia delle comunità autoctone che di quelle immigrate.
Già a ottobre 2014, in occasione dell’insediamento dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’intercultura, il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, dichiarò il testo “la buona scuola” sarebbe stato “integrato con un capitolo finale in cui includere il tema dell’integrazione scolastica degli alunni con cittadinanza non italiana e nello specifico delle seconde generazioni”. Al ministro fece eco Davide Faraone, che di lì a pochi giorni sarebbe diventato sottosegretario al ministero dell’Istruzione – Miur, rilanciando l’idea di mettere “insieme questa necessaria riforma dello ius soli con la riforma della scuola”. Così non è stato. Il capitolo integrativo da inserire nella Buona Scuola è stato redatto dall’Osservatorio nazionale e di fatto inserito solo in appendice al recente Rapporto nazionale ‘Alunni con cittadinanza non italiana – A.s. 2013/2014’, ma non riporta alcun riferimento specifico alle seconde generazioni (se non un accenno, in un ‘ottica di peer education, al loro possibile ruolo quali tutor di studenti neo-arrivati).
Alla Camera approvato un “compromesso al ribasso”
Nel frattempo, a fine luglio è stato depositato alla Camera un testo sullo ius soli e ius culturae il cui dibattito ha portato all’approvazione di un “compromesso al ribasso” secondo le associazioni, prevedendo criteri più stringenti come la carta di “lungo soggiorno” per i genitori (ritenuto discriminante da Arci poiché per ottenerlo “non basta la residenza ma è necessario anche il requisito del reddito” come riporta Redattore Sociale) e il superamento con successo della scuola primaria per i ragazzi, che dovranno comunque dimostrare la residenza legale dei genitori. Restano tuttora pendenti, in attesa del voto in Aula previsto per la prossima settimana, altre questioni rilevanti come la retroattività del provvedimento.
Da un altro rapporto, quello su La sicurezza e l’insicurezza sociale in Italia e in Europa (di Fondazione Unipolis, Demos&Pi e Osservatorio di Pavia), rilanciato – non senza strascichi polemici – anche dalla presidente della Camera Laura Boldrini, “risulta che il 72% degli italiani è favorevole ad una legge che conceda la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia o che frequentano le scuole nel nostro Paese”. Sarà, ma intanto è paradossale constatare che, attualmente (si veda il cosiddetto ius soli sportivo introdotto ad aprile), un ragazzo di origine straniera che è arrivato in Italia quando aveva dieci anni e oggi gioca a calcio, sia considerato italiano a tutti gli effetti; mentre uno che è nato in Italia e qui ha completato con successo tutto il suo percorso scolastico, no. Laddove non può l’istruzione, arriva il pallone.
80 per cento degli stranieri nati in Italia frequenta le scuole primarie
Gli studenti di origine straniera nati in Italia sono 415 mila, raddoppiati dall’anno scolastico 2007/08 al 2013/14. Quasi la metà vive e va a scuola nel Nord-ovest del Paese. Circa l’80% frequenta le scuole primarie e dell’infanzia. “Molti alunni stranieri sono nati in Italia e sono italiani a tutti gli effetti, non hanno alcuna diversità dal punto di vista linguistico; l’unica differenza è che non posseggono la cittadinanza. Eppure, purtroppo, i pregiudizi ci sono, anche molto forti, e contribuiscono a creare situazioni in cui gli studenti stranieri sono concentrati in numero maggiore rispetto agli italiani”, spiega Patrizia De Pascali, docente presso l’Istituto Comprensivo Narcisi di Milano.
La scuola è il luogo da cui partire per rimuovere le barriere socio-culturali
Ma il quadro complessivo degli studenti con cittadinanza non italiana è ben più complicato dello spaccato fornito dalla seconda generazione, alla quale si aggiungono gli alunni nati all’estero e i neoentrati (di nuovo in crescita, forse anche in virtù del significativo incremento di minori stranieri non accompagnati registrato in Italia nel 2014). Ciascuna di queste categorie presenta bisogni e criticità differenti. Secondo il Rapporto nazionale, ad esempio, “i neoentrati costituiscono una categoria di studenti ai quali si guarda ancora con molta preoccupazione, soprattutto per i problemi che si pongono nella fase di prima accoglienza nel sistema scolastico, in cui si imposta l’inserimento e l’apprendimento dell’italiano come lingua seconda”.
Tocca però essere realisti e fare i conti con un sistema scolastico frammentato e in crisi, dove “l’insegnamento dell’italiano ai giovani stranieri non è ancora strutturato uniformemente secondo un piano comune a tutte le scuole: capitare in un istituto o in un altro può fare la differenza”, come evidenzia un rapporto di SecondGen, un progetto di ricerca condotto da diverse università e associazioni. D’altronde anche La Buona Scuola, sebbene con una narrativa più vellutata, evidenzia la necessità di “passare dal “brusio” delle buone pratiche a una voce forte e condivisa, sviluppando una formazione capillare e non sporadica dei dirigenti scolastici e degli insegnanti”.