“Serena Mollicone è stata uccisa da un sistema mafioso, un sistema fatto di mafia, corruzione e criminalità politica. Noi diciamo ‘no’ all’archiviazione delle indagini sul delitto di Serena con una petizione online”. Lo annuncia ai microfoni de “La storia oscura”, su Radio Cusano Campus, l’ex commissario di polizia, Antonio Turri, presidente dell’associazione ‘I cittadini contro le mafie e la corruzione’. Ed è proprio a Turri che si è affidato per evitare l’archiviazione del caso Guglielmo Mollicone, il tenace padre di Serena, la 18enne uccisa ad Arce (Frosinone) nel 2001. L’ex commissario, vittima nel 1995 di un attacco dinamitardo durante le sue indagini sugli intrecci tra ‘ndrangheta e politica, spiega: “La mancanza di giustizia nei confronti delle persone spesso non è dettata solo dalla difficoltà delle indagini, ma da una mafiosità di fondo che regge il Paese. La lotta alla mafia spetta anche alla collettività, ma purtroppo così non è stato in Italia. L’abbiamo spesso delegata ai professionisti dell’antimafia, come li chiamava Sciascia già molti anni fa, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti”. E precisa: “Nell’omicidio di Serena Mollicone c’è un dato oggettivo, che parla chiaro: il carteggio investigativo che poi confluisce nel fascicolo processuale. Delimita i contorni della vicenda perché è una tipica storia del territorio di Arce, della storia criminale di quel territorio, di una mafiosità intesa come omertà totale, come cultura del classico ‘Io mi faccio i fatti miei’ per evitare di mettersi contro i potentati anche quelli ridicoli locali. Per questo ritengo che è lì che bisognava e bisogna ancora cercare chi ha ucciso Serena Mollicone”. Turri passa in rassegna le omissioni, i depistaggi e gli errori nelle indagini e sottolinea: “Qualcuno, molto esperto del campo, ha camuffato la scena del crimine per sviare le indagini, cercando di mettere una pietra tombale sulla vicenda. Questo è altrettanto grave quanto l’omicidio. Questo tentativo però non è riuscito del tutto grazie alle parole del brigadiere 50enne Santino Tuzzi, il quale nel 2008 alla Procura di Cassino rivelò che vide Serena entrare nella caserma dei Carabinieri di Arce il giorno stesso della scomparsa della ragazza il primo giugno 2001”. E chiosa: “Qualche giorno dopo quella testiminianza, Tuzzi si suicidò in circostanze misteriose, sparandosi al petto con la Beretta d’ordinanza. Per tutto questo diciamo ‘no’ all’archiviazione del caso”