Cultura

“Siamo Liberi”: il diario di Elena Sacco, ex pubblicitaria giramondo. “La vera sfida? Tornare”

Lei e Claus, il marito, hanno mollato tutto all'apice della carriera. Hanno comprato una barca, e dal 1997 al 2004 hanno girato Caraibi, Cuba, Panama e le isole del Pacifico insieme ai due figli. Poi, dopo sette anni, per lei e i bambini è arrivato il momento di tornare a Milano: "Un ulteriore nuovo viaggio, senza certezze"

di Davide Turrini

Molla tutto all’apice del successo, parte con la barca fino in Polinesia, ma alla fine ritorna a Milano. Mentre si leggono le pagine di “Siamo liberi (Chiarelettere), il diario di Elena Sacco, viene in mente quel pezzo di Enzo Jannacci quando fa: “C’è chi un giorno ha avuto un sinistro, chi vuol bene soltanto al ministro, e c’è sempre lì quello che parte, ma dove arriva se parte”. Parliamo di una donna che è stata pubblicitaria negli anni ottanta/novanta, poi in barca assieme a marito e figli fino ai Caraibi, Cuba, Panama e le isole del Pacifico dal 1997 al 2004, infine di nuovo sotto la Madonnina a 45 anni per ricominciare una vita.

Sospensione, paura, transito e infine nuova permanenza. Un cervello in fuga che ha il coraggio di tornare, quello di Elena, anche per risistemare ciò che nella sua città e nel suo paese comunque funziona: “Dopo sette anni di viaggio la vera sfida è stata tornare in Italia, con tutto quello che non funzionava. Mi son detta che il mondo non potevo salvarlo, ma la mia famiglia, le persone che avevo attorno sì. E se salvo la mia famiglia è una piccola goccia per salvare il mondo”, spiega l’autrice del libro a FQ Magazine.

“Devo smetterla di opporre tutta questa resistenza a ciò che non mi piace a Milano. Fa troppo a cazzotti con il mio desiderio di stare qui e di essere felice. Scopro una parola magica: resilienza”

elena sacco interna“In questo diario intimo dove metto a nudo le mie fragilità, non ho voluto fare la piaciona per nessuno. Ho descritto davvero la mia esperienza e ho atteso anche molto per farlo. Al ritorno stavo per preparare il libro. Però mi rendevo conto che mancava un pezzo. Avevo intuito che nel tornare a Milano stavo iniziando un ulteriore nuovo viaggio, senza certezze, non facile”. E’ curioso che Siamo Liberi – racconto per la maggior parte pieno di vele, gomene, pozzetti e winch – più che un inno alla fuga, appaia come un tenace monito alla resistenza, pardon, alla resilienza urbana. Un concetto che Sacco spiega benissimo nel libro. “Come un mantra mi ripeto che saper vedere il negativo non è lo stesso che vedere negativamente. Si fa strada in me, giorno dopo giorno, bruttura dopo bruttura, una mappa mentale che mi fa vedere un percorso da intraprendere: devo smetterla di opporre tutta questa resistenza a ciò che non mi piace. Fa troppo a cazzotti con il mio desiderio di stare qui e di essere felice. Scopro una parola magica: resilienza. E traccio la mia strategia per il futuro: devo trasformare ciò che non va in una opportunità a mio favore”.

La “crisi” per Elena e Claus, pubblicitari di successo nel capoluogo lombardo trent’anni fa, arriva quando sono al massimo del loro percorso professionale: “Non eravamo in grado di goderci il successo. Potevamo comprarci un attico in piazza Duomo, invece ci siamo fermati e abbiamo speso quello che avevamo guadagnato comprando una barca e girando mezzo mondo. Mica siamo andati ad aprire un locale a Santo Domingo. E’ stato tutto un’avventura precaria, ogni giorno con una nuova meta. Quando sono tornata a Milano mica ero ricca. Avevo le pezze al culo!”.

“Potevamo comprarci un attico in piazza Duomo, invece ci siamo fermati e abbiamo speso quello che avevamo guadagnato comprando una barca e girando mezzo mondo”

Con l’arrivo di Silvio Berlusconi in politica che deflagra il tutto: “Se c’è stato qualcosa di insopportabile e che mi ha davvero spinta a partire nel ’96 è stata la trasposizione nella vita reale di quello che si faceva in Mediaset. Quando è sceso in campo un personaggio che stava invalidando quello in cui avevo creduto a 20 anni”. E se lo dice Sacco, che nella pubblicità agli inizi novanta era un nome di pregio, c’è da rimanere con le orecchie bene aperte. “La mia musa ispiratrice è Adriano Olivetti, figuriamoci. Fare profitto è la cosa più nobile del mondo quando lo fai restituendo questa fortuna a chi non l’ha avuta ed è rimasto senza. Insomma quando lui scende in campo con una campagna di marketing comunque geniale, in quel momento ho detto: ‘Questo non è un Paese in cui stare bene'”.

Viking, la dodici metri su cui viaggiano marito, moglie, Nicole che va alle elementari e Jonathan che è nato da poco, sfiora mete esotiche da sogno, arricchisce i viaggiatori con la “sorpresa di Cub”, il mondo “plasticoso e veramente razzista dei Caraibi“, la Polinesia, tutta profumi e meraviglie naturali dove la coppia apre uno studiolo in cui lui fa lavoretti di grafica e lei s’inventa un sito di viaggi per accogliere turisti. Poi, la notte, tutti a dormire in barca. “Erano finiti i soldi e mettere collanine al collo a chi arrivava non se ne parlava. Ad una piccola fetta di niente nel paradiso, preferisco una fetta piccolissima, ma mia, conquistata all’inferno”, racconta l’autrice.

“Al mio ritorno è stata durissima, ma piuttosto che lamentarmi del fatto che le cose non erano come le avevo lasciate o come le vorrei, ho cercato di cambiarle”

Il marito, grande grafico ma nomade dentro (“a parole diceva ‘stiamo via tre anni‘, ma con la testa non voleva più tornare”), impreca e lascia che moglie e figli tornino. La coppia cessa di esistere, ma inizia a vivere Elena. Qualcosa si è rotto, ma forse non c’era nulla da aggiustare davvero. Elena mette in pratica i precetti teorici della “resilienza”, senza più Claus e con i bimbi che devono riadattarsi alla normalità milanese, quando tra barca e spiagge nemmeno indossavano le scarpe per andare a scuola: “Al mio ritorno è stata durissima, ma piuttosto che lamentarmi del fatto che le cose non erano come le avevo lasciate o come le vorrei, ho cercato di cambiarle”.

A modificare il corso della sua vita, è un amico, che la incontra alla fermata e le chiede se voglia lavorare da lui. “Il diktat negli anni duemila nel mondo della comunicazione era ‘famolo strano’. Poi all’improvviso, allargando il mio campo d’azione, mi sono dedicata alle celebrity trovando per ogni personaggio famoso un contenuto importante da comunicare e non da usare solo come trasposizione del suo personaggio del mondo della tv o del cinema. E’ stato stimolante”.

“Se non hai fatto quello che ho fatto io, non puoi giudicarmi. Prima vendi la casa di mamma dove vivi e parti. Poi ne parliamo”

Così, oggi, a chi vorrebbe darle due schiaffi – perché è davvero capitato e ha dovuto reagire – e le dice “che cavolo vuoi dalla vita?”, Elena risponde: “Fintanto che tu non hai fatto la stessa cosa che ho fatto io, non hai diritto di giudicarmi. Prima, che so, vendi la casa della mamma nella quale già abiti, parti, scegli la meta, può essere anche uno chalet sul Kilimangiaro. Poi scrivi il tuo diario e ne parliamo”.

(Immagine tratta dal profilo Facebook Siamo Liberi di Elena Sacco)

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