A leggere i segnali che soltanto negli ultimi giorni affiorano dall’universo della corruzione italiana si arriva alla conclusione che il totale pesi più della somma delle parti. Le inchieste giudiziarie offrono infatti uno spaccato parziale, mentre una visione d’insieme dovrebbe abbracciare anche i molti sintomi del saccheggio sistematico di risorse comuni praticato, in un’atmosfera d’impunità, da un’oligarchia corrotta e corruttrice: le voragini nei bilanci pubblici, i ricorrenti disastri ambientali, il consumo dissennato del territorio, il degrado di opere e servizi pubblici. Spesso realizzato “a norma di legge”, visto che di norme e regolamenti questa élite corrotta può condizionare contenuti, interpretazioni, rigore nel controllo e nell’applicazione.
Passiamole in rassegna in ordine sparso, queste vicende, e in rapida successione. Le motivazioni dell’arresto del vicepresidente della Regione Lombardia Mario Mantovani ritraggono la serialità e la diffusività delle reti di corruzione: non una pratica occasionale, una tantum, ma una prassi abituale che si traduce “in una serie di turbative d’asta” nei settori sensibili della sanità e dell’edilizia scolastica, e che estende le sue ramificazioni a una moltitudine di imprese, funzionari, politici.
A Napoli secondo gli inquirenti un giro di tangenti coinvolge un’associazione a delinquere di 17 amministratori e imprenditori che fornivano pasti alle mense scolastiche: naturalmente era cibo scadente e spesso scaduto, tanto da causare occasionali intossicazioni alimentari. Non era ai bambini napoletani che pensava Papa Bergoglio nel denunciare il “pane sporco” della corruzione, un male a suo giudizio peggiore persino del peccato, ma in Italia la realtà talvolta supera la metafora. Intanto a Milano nelle abitazioni di funzionari ed ex-dirigenti comunali arrestati per corruzione e associazione a delinquere saltano fuori 32 lingotti d’oro da un chilo l’uno e 2 milioni di euro in contanti e preziosi, un “tesoretto” che consente almeno di osservare come la razzia di decine di miliardi di presunto “costo della corruzione” finisca per cristallizzarsi nell’opulenza alla Paperon de’ Paperoni di pochi privilegiati.
Fermiamoci in Toscana, regione di solide e “rosse” tradizioni civiche. A Pisa un decreto di perquisizione della direzione antimafia raffigura il costruttore che da un paio di decenni fa il bello e cattivo tempo in città e dintorni come principale artefice e beneficiario di una rete di favori e ricatti incrociati in cui banchieri, amministratori, politici, faccendieri, massoni e giornalisti “a libro paga” si sarebbero posti al servizio delle esigenze di riciclaggio nei circuiti dell’edilizia pubblica e alberghiera dei capitali provenienti dal latitante boss trapanese Matteo Messina Denaro, oltre ad accaparrarsi un po’ di prestiti bancari in operazioni e speculazioni ad alto tasso d’opacità.
Intanto a Firenze tre dirigenti Anas e un imprenditore vengono arrestati e un’altra ventina inquisiti per un giro pluriennale di mazzette. E qui grazie alle intercettazioni – prima che con la legge in corso d’approvazione vi si metta la sordina – il sistema di governo parallelo istituito dall’italica corruzione si palesa in tutta la sua granitica stabilità. A raccontarcelo sono i protagonisti: 5 per cento sul valore degli appalti è il prezzo da pagare, inderogabilmente. Perché “sono tutti corrotti e corruttibili”. In questo mondo – “un mondo particolare, il nostro” – senza corrompere non si fa strada. “L’hai capita o no? Io lo faccio. Mi vergogno? No vaffanculo, lo fanno tutti e io devo lavorare”. In fondo, osserva uno dei partecipanti al gioco: “E’ un mondo di scale di corruzione”. Ai diversi livelli ciò che cambia è solo lo spessore degli interlocutori, il giro d’affari, e di conseguenza il fatturato criminale: “Ma guarda, che in tutti i paesi normali è così, da Abu Dhabi, all’America, all’Albania. Solo che qui le vogliono cambiare… Guarda, io faccio sempre questo esempio: se quando è nato il Signore si sono presentati tre Re Magi con oro, incenso e mirra, mah… vuol dire che quanto meno i rapporti personali contano, no?”. Eccome se contano.
Il responsabile relazioni istituzionali della Cpl Concordia, il colosso cooperativo, ai microfoni di Presa Diretta conferma che in questo “presepe” della corruzione la costruzione di relazioni personali assicura il “pane sporco” quotidiano a quei soggetti imprenditoriali che “vivono” attraverso la politica, e dunque ne devono alimentare la voracità: “È evidente che la Cpl Concordia aveva tutto l’interesse a mantenere dei buoni rapporti, appunto, con la politica, non credo che si regalino dei soldi a caso… finanziare, contribuire e quant’altro… fa parte dei giochi del rapporto di buon vicinato, di considerazione, di promozione, di benevolenza, si vive anche di relazioni e le relazioni possono essere una risorsa importante in questo tipo di lavoro”.
Proviamo allora a immaginare l’ascesa lungo questa “scala di corruzione” fino ai piani più alti, dove “incenso e mirra” dei corruttori cedono il passo all’oro – proprio quello dei lingotti sequestrati ai dirigenti milanesi – espressione tangibile di un potere d’acquisto che si converte in esercizio arbitrario dell’autorità pubblica. “Corrompere” il nostro sistema di governo significa replicare e perfezionare in ogni centro di potere gli ingredienti base della corruzione sistemica.
Cosa c’è di meglio di una verticalizzazione personalistica e di un’accelerazione in chiave decisionista delle politiche e delle scelte di governo, sciolte dai residui controlli politici e istituzionali – parlamentari e rappresentanti di fatto nominati, elettori esautorati di sovranità, opposizioni inermi o conniventi, media sotto tutela, poteri neutri (Corte costituzionale, Presidente della Repubblica, Magistratura) ricondotti all’ordine o messi (finalmente) al guinzaglio? E’ un progetto ricorrente, formalizzato già nel piano di rinascita democratica di piduista memoria e ora matrice ideale del disegno di riforma costituzionale targato Boschi. Si possono comprendere le preoccupazioni di una potenziale “svolta autoritaria”, già denunciata in più sedi. Eppure, più prosaicamente, si coglie in questo quadro la piena sintonia con quel grumo di interessi opachi che accomuna ampi e trasversali segmenti della nostra classe dirigente verso un obiettivo condiviso: estendere il proprio invisibile dominio cleptocratico, rendendo più efficiente e sicura l’appropriazione congiunta della smisurata rendita della corruzione.