“Con quell’argine è come se avessero puntato una pistola contro Carrara”. La svolta, nell’inchiesta sull’alluvione che ha devastato la città apuana quasi un anno fa, è riassunta in queste poche parole. Le pronuncia Maurizio Rosso, perito nominato dal giudice per le indagini preliminari, Ermanno De Mattia, per l’incidente probatorio sul muro crollato a pochi anni dalla sua costruzione sotto la furia del torrente Carrione. Un argine “del tutto inidoneo a scongiurare il rischio del verificarsi del fenomeno”, scrive il tecnico nelle oltre cento pagine di perizia, perché non realizzato come da progetto e, soprattutto – stando alla relazione -, fuori da ogni logica ingegneristica.

E le responsabilità, secondo il consulente, abbondano. Non ci sono solo le imprese che hanno realizzato i lavori, secondo il perito. Ci sono i tecnici, che hanno elaborato il progetto, senza aver “approfondito adeguatamente l’attività progettuale”. C’è l’ente che avrebbe dovuto “sovrintendere alla corretta esecuzione delle opere”, ossia la Provincia, che ha invece “abdicato al proprio ruolo di controllore a garanzia della pubblica incolumità”. E infine il direttore dei lavori, ossia Franco Del Mancino, ingegnere chimico, che ha certificato la regolare esecuzione di opere “del tutto difformi da quelle previste in progetto – scrive il perito – senza predisporre alcuna variante, al di là del fatto che queste ultime fossero di per sé non adeguate allo scopo”.

Una premessa è d’obbligo. Il Carrione, fa notare Rosso, continua a esondare – quattro alluvioni in 11 anni – perché il suo bacino è stato stravolto, tra argini troppo stretti, tombinature, strade che occupano alvei senza soluzioni alternative per il convogliamento delle acque meteoriche e, non da ultimo, l’occupazione del letto del fiume da parte dei detriti delle cave di marmo, tanto che il tronco terminale del corso d’acqua “ormai è divenuto pensile”. Tutto questo, scrive il tecnico “avrebbe dovuto da tempo allertare gli enti competenti sull’esigenza di provvedere sia ad una migliore regimazione delle acque superficiali nella zona di monte del bacino, sia ad una gestione più sensata dei ravaneti”, cioè le aree in pendenza in cui si accumulano i detriti delle cave. E invece nulla: si è semplicemente provveduto, alluvione dopo alluvione, danni dopo danni e vittime dopo vittime a alzare muri sempre più alti “adeguandone progressivamente, ma in modo non sufficiente, la capacità di deflusso agli eventi che man mano si manifestavano”.

La causa principale dell’alluvione più recente rimane tuttavia il muro crollato, quella pistola puntata contro Carrara, che questa volta non ha fatto vittime solo perché il Carrione è esondato di notte, quando nelle decine di laboratori lungo l’argine non c’era nessuno. Il progetto prevedeva la demolizione del muro preesistente e la costruzione di uno ex novo. E invece è stato realizzato – anche se la qualità del cemento era buona – sopra una porzione di muretto già esistente, non armato e in alcuni tratti formato da semplice muratura di pietrame. Che poi si è sbriciolato.

All’epoca il responsabile unico del procedimento, il dirigente della Provincia, Gianluca Barbieri, dichiarò che i lavori erano stati eseguiti come da progetto. “O non aveva mai visitato il cantiere e per scrivere la nota citata si è fidato di quanto riferitogli da terzi” oppure, ipotizza il tecnico, ha “prodotto detta dichiarazione non corrispondente al vero senza verificarla”. Una grossa negligenza è stata quella della Provincia che “né in sede di affidamento dei lavori in somma urgenza e nemmeno dopo la fine dei lavori, in occasione delle ripetute segnalazioni relative alla filtrazione d’acqua dal muro” ha notato che il muro era stato realizzato “in totale difformità da quanto previsto progettualmente. Peraltro, è precisa responsabilità dell’ente – fa sapere il perito – quella di validare i progetti commissionati sia tramite personale interno sia, nel caso in cui non ve ne fosse la disponibilità, avvalendosi di consulenti esterni che avrebbero senz’altro notato e segnalato le palesi carenze progettuali”. Senza dimenticare che tutt’intorno all’argine crollato ci sono case e laboratori e la prudenza doveva essere massima.

Una perizia che sembra quindi confermare la tesi accusatoria del procuratore capo Aldo Giubilaro che sta conducendo da mesi le indagini con il supporto di un pool di periti. Gli indagati in questa fase dell’inchiesta sono 7: il dirigente della Provincia, Barbieri, la responsabile del servizio patrimonio dell’ente, Marina Rossella Tongiani, l’ex dirigente alla difesa del suolo Giovanni Menna, il titolare della ditta costruttrice Elios srl di Aulla, Diego Tognini, il geometra Giulio Alberti, direttore tecnico del cantiere dove avvenne il crollo, il progettista dell’opera. E ancora: Franco Del Mancino, progettista e direttore dei lavori dell’argine, cioè colui che lo ha certificato e Stefano Michela, ex dirigente alla difesa del suolo della Provincia, colui che – secondo l’accusa – alle svariate segnalazioni di infiltrazioni nell’argine aveva assicurato che “la problematica segnalata non risulta presentare criticità di tipo strutturale”.

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