“Una voragine senza fondo che ha inghiottito lavoratori, famiglie, l’economia nazionale”. E’ quanto hanno contribuito a creare i “vertiti e dirigenti Alitalia” che “hanno agito a costo di diminuire il patrimonio della compagnia per interessi del tutto estranei a quelli dell’azienda, piegandosi ad interessi politici del tutto avulsi da quelli imprenditoriali”. E’ impietosa la motivazione in base alla quale i giudici del tribunale di Roma il 28 settembre scorso hanno condannato quattro ex manager della compagnia, tra i quali l’ex presidente e amministratore delegato Gianfranco Cimoli, per il crac del 2008.
“Si ritiene”, si legge nelle 350 pagine di motivazioni, “che già negli anni 2002-2003 Alitalia fosse in una situazione gravemente compromessa che avrebbe dovuto portare nel 2004, quando Mengozzi dava le dimissioni, a dare atto dello stato di insolvenza e portare i libri in tribunale”. “Così non è stato”, proseguono i giudici della sesta sezione, “e gli imputati hanno perseguito finalità del tutto estranee agli interessi aziendali, e anzi, procrastinando nel tempo il destino ineluttabile di Alitalia con il suo fallimento”.
“Dopo l’uscita di Mengozzi”, rilevano i giudici, “Cimoli continuò a far finta di navigare, mantenendosi saldamente stretto al lucroso posto di amministratore delegato. Da qui l’accusa di bancarotta fraudolenta per dissipazione da parte di Cimoli che nella gestione del settore Cargo ha volutamente bruciato risorse di Alitalia raggranellate attraverso i vari finanziamenti gettando dalla finestra negli anni in cui è stato amministratore delegato quasi 300 milioni di euro”.
Oltre a Cimoli, a cui sono stati dati otto anni e otto mesi di carcere, sono stati ritenuti colpevoli Pierluigi Ceschia, ex responsabile del settore Finanza straordinaria, Gabriele Spazzadeschi, già dg del settore Amministrazione e finanza, e l’ex amministratore delegato Francesco Mengozzi. Altri tre imputati sono stati assolti.