Siamo ancora bombardati dal “caos” Roma con le dimissioni di Marino che non potrà essere in prima fila con la fascia tricolore il prossimo 5 novembre all’udienza di Mafia Capitale quando arriva la notizia dell’arresto del vice-presidente della regione Lombardia Mario Mantovani.
Il numero due della regione Lombardia non è caduto sugli scontrini (che peraltro non sono noccioline e dimostrano come le battaglie del M5S non siano infondate) contrariamente a quanto è accaduto all’uomo che volle farsi sindaco e rimanere in carica nonostante tutto. E sarà interessante vedere se al “caso Mantovani” verrà dedicato almeno un decimo dell’attenzione spasmodica, e a tratti eccessivamente velenosa, riservata al “marziano” del Campidoglio.
Mario Mantovani è stato arrestato per la combinazione di reati che si è riscontrata in modo ricorrente nelle Tangentopoli che si susseguono senza soluzione di continuità da un capo all’altro del paese: corruzione, concussione, abuso d’ufficio, turbativa d’asta. Solo che lui è stato molte cose: ex-sindaco, ex-senatore, ex sottosegretario alle Infrastrutture con Berlusconi, ex-assessore alla sanità fino ad un mese fa e da quanto risulta dall’inchiesta si è attivato durante la sua brillante carriera, con assidua continuità ad inquinare gare d’appalto e a piazzare “persone a lui vicine” in posizioni di prestigio e altamente remunerate dietro “utilità” di vario genere come ristrutturazioni di sue proprietà.
Insieme a lui, in un’inchiesta che coinvolge una dozzina di persone sono stati arrestati il suo assistente-factotum Giacomo Di Capua e il dirigente del provveditorato delle opere pubbliche della Lombardia, dove avrebbe piazzato l’amico ingegnere che si “sdebitava” con le ristrutturazioni gratis per l’ingente patrimonio familiare che include anche due ville del ‘700, mentre l’assessore al bilancio della Regione Lombardia Angelo Bianchi al momento è solo indagato.
Maroni e Berlusconi stanno gareggiando in low profile e stringatezza nelle dichiarazioni riguardo il coinvolgimento, rispettivamente, del braccio destro in Regione e dell’uomo simbolo in Lombardia delle battaglie campali contro “le toghe rosse”.
B. per il suo ex crociato Mantovani che insieme all’assistente-esecutore Di Capua al tempo della campagna elettorale per Letizia Moratti aveva realizzato i manifesti contro i Pm “brigatisti” ha speso poche e meste parole: “Ci è dispiaciuto molto, è una persona corretta, siamo in attesa di notizie”.
Il 2011 è ormai lontano e anche i toni eversivi imposti alla campagna elettorale dal grande imputato, non ancora “riabilitato” da Cesano Boscone, culminati nei manifesti della vergogna, “Fuori le Br dalle procure” che avevano inondato Milano ed erano stati partoriti dall’inventiva propagandistica dei vertici del Pdl lombardo di cui l’allora sottosegretario Mantovani era coordinatore.
Però constatare che quattro anni dopo due personaggi assurti alle cronache nazionali per manifesti definiti “ignobili” dall’allora capo dello Stato sono ai vertici della regione dell’ “eccellenza sanitaria” e la gestiscono come “cosa loro” conferma la percezione di come la classe politica e dirigente sia selezionata al contrario.
E per singolare coincidenza, in questo martedì 13 ottobre in cui Renzi vuole celebrare il voto finale sul “nuovo Senato ponte” tra Governo ed enti locali, di cui non sappiamo ancora come saranno designati i senatori-consiglieri regionali ma sappiamo che godranno dell’immunità parlamentare, il “caso Mantovani” non fa che confermare ed accrescere tutti i nostri legittimi timori.