Grandi novità al Consiglio superiore della magistratura (Csm). E tutte in arrivo dal fronte caldo palermitano. Dove le toghe stanno vivendo un’altra pagina delicata della loro tormentata storia. La prima notizia è di quelle che lasciano sconcertati. L’ex presidente della sezione misure cautelari del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, travolta con altri quattro magistrati dall’inchiesta della procura di Caltanissetta sulla gestione dei beni confiscati alla mafia, vuole andare a lavorare a Milano. E’ quanto emerso nel corso della recente audizione del presidente del Tribunale palermitano, Salvatore Di Vitale convocato a Roma dal Csm. Di Vitale ha chiesto di essere riascoltato a pochi giorni dalla missione a Palermo del Consiglio superiore della magistratura che ha aperto una pratica in vista del trasferimento dei magistrati coinvolti dall’inchiesta della procura nissena.
SAGUTO A CORTE Silvana Saguto ha fatto domanda per un posto a Milano in corte d’appello o come presidente di sezione al tribunale. Una richiesta che ha lasciato di stucco i consiglieri della prima commissione di Palazzo dei Marescialli. I quali, in attesa che il procedimento disciplinare faccia il suo corso insieme all’inchiesta penale, stanno istruendo il fascicolo per disporre l’allontanamento coatto dei magistrati coinvolti in un altro distretto giudiziario. Anche, naturalmente, per limitare il più possibile i danni all’immagine della categoria finita al centro di questo nuovo caso-Palermo. Sul punto è tornato a battere il presidente Di Vitale che, in attesa delle decisioni del Csm, ha nel frattempo potuto solo spostare gli interessati ad altri in carichi, sempre all’interno degli uffici palermitani.
TOGHE SCREDITATE Il presidente del tribunale del capoluogo siciliano ha anche scritto una lettera al Csm. Nella quale riassume la difficile situazione che si respira nel palazzo di giustizia e non solo. E siamo alla seconda, preoccupante novità che giunge dal fronte palermitano. Quello di Di Vitale è infatti un vero grido di dolore. Che mette in guardia Palazzo dei Marescialli sull’ondata di delegittimazione che comincia ad investire i magistrati di Palermo proprio a causa della brutta storia della gestione dei beni mafiosi sequestrati.
CLIMA ROVENTE “Ritengo utile una mia audizione nei tempi più rapidi, al fine di dare una pronta risposta ad una situazione di chiara emergenza che peggiora di giorno in giorno”, aveva scritto Di Vitale nella missiva del 28 settembre indirizzata al Csm. Un’audizione servita poi ad illustrare “piu’ dettagliatamente il clima generale che vive in questo momento l’istituzione giudiziaria del capoluogo siciliano e a spiegare i punti salienti della documentazione già trasmessa inerente anche ai profili di professionalità e deontologia dei magistrati coinvolti”. Cos’altro ha sostenuto Di Vitale a Palazzo dei Marescialli? Che lo spostamento di Silvana Saguto alla Corte d’Assise non è bastato a rasserenare l’ambiente. E che i veleni e le polemiche non si sono fermati, tutt’altro: in questi giorni si sono registrati infatti atteggiamenti irriguardosi nei confronti dei magistrati “da parte di soggetti processuali, sintomatici della caduta di fiducia nella Giustizia”.
RISCHI CRESCENTI Qualche esempio di questo andazzo: consulenti che si sono presentati in tribunale per rinunciare alla disponibilità ad assumere incarichi data la certezza che essi vengano assegnati sempre ai soliti noti; intemperanze verbali di giudici popolari all’indirizzo dei togati. La vicenda nel suo complesso potrebbe produrre delle “semplificazioni delegittimanti suscettibili di travolgere la credibilità di ogni forma di manifestazione dell’istituzione giudiziaria di una città connotata dalla pervasiva presenza della criminalità”. Insomma, per Di Vitale c’è il rischio che possano accadere fatti anche più gravi dal momento che “la credibilità dei magistrati rappresenta il presidio più importante per la sicurezza fisica di quelli che quotidianamente si espongono con l’emissione di provvedimenti restrittivi della libertà personale o incidenti sul patrimonio di pericolosi criminali”. Il nuovo caso Palermo insomma rappresenta anche un rischio per l’incolumità di quanti sono in prima linea nella lotta alla mafia. E anche questo proprio non ci voleva.