È certo: la ragazzina di Potenza non è Denise Pipitone. Lo hanno confermato fonti investigative a ilfattoquotidiano.it. Il confronto tra il dna della bambina scomparsa il 1 settembre del 2004 e quello dell’undicenne che dal suo computer, ad agosto, aveva scritto a Piera Maggio “Mamma, sono Denise” ha dato esito negativo. I risultati sono stati trasmessi dal Ris di Messina alla Procura di Marsala, anche se non sono stati ancora comunicati alla famiglia. L’indiscrezione era trapelata nelle ultime ore e ha suscitato una dura reazione da parte dell’avvocato di Piera Maggio, mamma di Denise. “Abbiamo chiesto lumi alla Procura di Marsala – ha spiegato Giacomo Frazzitta – ma mi è stato detto che non potevano darmi risposte né in via ufficiale, né in via ufficiosa. Ora, però, l’indiscrezione giornalistica è stata confermata e la famiglia non ha ancora ricevuto alcuna notizia in merito”.
Le parole di Piera Maggio – In tutti questi anni centinaia le segnalazioni. “Ho cercato di non crearmi false illusioni – ha detto Piera Maggio a ilfattoquotidiano.it – come faccio sempre, quindi ero preparata a tutto. Comunque non ci fermiamo e ora aspettiamo le motivazioni della sentenza di secondo grado”. La Terza sezione d’appello di Palermo ha confermato nei giorni scorsi il verdetto di assoluzione in primo grado per Jessica Pulizzi (sorellastra di Denise Pipitone), che era accusata di sequestro di persona.
La bambina di Potenza non è la figlia di Piera Maggio ma il suo messaggio e gli accertamenti eseguiti dagli inquirenti hanno condotto a nuovi e vecchi elementi dell’inchiesta. Una pista da abbandonare del tutto o su cui indagare ancora? “Vanno verificate le circostanze, i fatti, i nomi – ha spiegato – anche quelli che undici anni fa furono poi tralasciati per seguire altre ipotesi. Se quel cognome nasconde una verità, bisogna scoprirlo”.
La telefonata partita dalla famiglia serba – A insospettire gli inquirenti e, ancora prima, la stessa Piera Maggio è stato il cognome della ragazzina che vive a Tito, in provincia di Potenza con la mamma e due fratelli. Il cognome è quello della madre, perché il padre non l’ha riconosciuta ed è lo stesso (di origine serba) del capo di un campo rom che viveva nei pressi di Mazara del Vallo all’epoca della scomparsa di Denise. Non solo. Quell’uomo finì nell’inchiesta pochi mesi dopo la scomparsa della bambina e il campo rom fu più volte perquisito. Tutto a causa di un episodio.
Alle 20.32 del 14 gennaio 2005, infatti, il papà di Denise Piero Pulizzi, ricevette una telefonata, ma in quel momento era in auto e non poteva rispondere. Provò a richiamare, ma senza esito. Pochi minuti dopo il cellulare squillò di nuovo. Era lo stesso numero. Pochi secondi, durante i quali Pulizzi fece in tempo a sentire il pianto di una bambina e la voce di una donna straniera. Il papà di Denise chiamò subito l’avvocato di famiglia Giacomo Frazzitta per avvisarlo, senza sapere di essere intercettato dalla polizia che riuscì a risalire al proprietario del cellulare. Era il capo del campo rom e quel telefono era utilizzato da una sua nipote. Lei negò di aver chiamato, ma il numero di Pulizzi fu trovato nella sua rubrica sotto il nome di ‘Piero Fra’. La ragazza dichiarò di non essere stata lei a memorizzarlo, aggiungendo che l’apparecchio era stato acquistato dal padre, un paio di settimane prima, di seconda mano.
La mamma della ragazzina di Potenza – Quando i carabinieri sono andati a Tito, la ragazzina di 11 anni era spaventata e dispiaciuta per l’accaduto. “Non volevo fare soffrire nessuno, chiedo scusa”, ha detto. Uno stato d’animo condiviso anche dalla mamma che, ai microfoni di “Chi l’ha visto?”, ha ribadito: “Non ho parole per quello che è successo. Mi dispiace soprattutto per la madre della bambina. Ho rimproverato mia figlia e le ho detto che ciò che ha fatto è molto grave ed ho cercato di farle capire come possa sentirsi ora quella mamma”. “È stato uno scherzo di pessimo gusto – dice la mamma di Denise – ma ora la mia priorità è che l’iter investigativo faccia il suo corso. Voglio capire fino in fondo perché una bambina di 11 anni mi ha mandato quel messaggio. Se c’è una ragione che oggi ci sfugge. Se c’è un’altra verità”.