Dal rapporto dell’associazione italiana editori presentato alla Buchmesse di Francoforte emerge inoltre che il 25,1% dei laureati italiani, ricevuta la pergamena, abbandona completamente la lettura per svago o nel tempo libero
Se fosse un esame di fine anno sarebbero tutti bocciati: manager, dirigenti e politici. Perché secondo i dati dell’Aie, l’associazione italiana editori, presentati alla Buchmesse, la Fiera del libro di Francoforte, sono loro i peggiori lettori d’Italia. I dati, in generale, per il Belpaese non sono confortanti: il 58,8% della popolazione nazionale durante l’anno non apre nemmeno un libro, contro il 37,8% della Spagna, e il 30% della Francia. E tra i laureati, il 25,1% dei neodottori italiani, ricevuta la pergamena, abbandona completamente la lettura per svago o nel tempo libero. Tuttavia, rispetto alla media, sono gli eletti dai cittadini e la classe dirigente ad andare peggio. Il 39,1% dei manager, dirigenti e politici d’Italia, infatti, non legge, nemmeno un volume ogni dodici mesi. Per fare un confronto: in Spagna e Francia sono il 17%, meno della metà che da noi.
“Un dato impressionante – scuote il capo Federico Motta, presidente dell’Aie – che porta a una semplice riflessione: viviamo nella società della conoscenza, dove la capacità competitiva del paese risiede nella sua cultura. Con questi dati siamo destinati al declino”. Perché politici e manager leggano così poco, spiega Motta, “probabilmente nemmeno loro lo sanno. Le ragioni della non lettura sono oggetto di un dibattito aperto. Il problema è che è questa la categoria che amministra l’Italia. Il tema vero è che siamo un paese che non parte dall’inizio, dalla scuola, dai ragazzi, che non fa crescere la gioventù nella cultura della lettura, e quindi evidentemente non forma un popolo di lettori”. E proprio questa fetta di cultura, secondo l’associazione, in Italia avrebbe bisogno di un traino. “Altrove in Europa, ad esempio, lo Stato investe nella promozione della lettura – cita Motta – ma in questo paese siamo quasi a zero”.
I fondi a disposizione del Centro per il libro, istituto del ministero per i Beni e le attività culturali con il compito di divulgare il libro e la lettura in Italia, promuovendo al contempo autori e cultura nazionali all’estero, lavora con fondi ridotti all’osso. “La Francia, invece, ha investito nel suo corrispettivo 33 milioni di euro – continua il presidente di Aie – In questi anni abbiamo impiegato risorse nostre cofinanziando le iniziative del Centro, nella speranza che fosse da stimolo per il governo, ma invece che aumentare, i fondi diminuiscono ogni anno”. Visti i dati dello studio, però, per Motta i conti tornano: “Il segno più o meno del nostro mercato del libro è una conseguenza del fatto che la classe dirigente e politica non sa cosa sia un libro perché non ne legge nemmeno uno all’anno. Non si informa, non pensa di migliorare, e considera cultura e letteratura un’appendice. Ciò che siamo è tutto in quei dati”.
Esonerato dalla bocciatura solo Dario Franceschini, ministro della Cultura, che alla Buchmesse dell’anno scorso aveva promesso di adeguare l’aliquota sul libro digitale a quella sul cartaceo (4% contro il 22% della normativa precedente) e l’ha fatto, tanto che gli ebook hanno conquistato un balzo in avanti del 52,7% nel mercato italiano, e contestualmente i prezzi si sono abbassati. In generale, però, se i dati dei primi 8 mesi del 2015 sono migliori rispetto al 2014, con un calo delle vendite di libri dell’1,9% rispetto al 3,9% dell’anno scorso, e il segno più per quanto riguarda il segmento dell’editoria per ragazzi e quello dell’ebook, il mercato non si è ancora ripreso.
“Non si può avere sviluppo civico, prima ancora che culturale e sociale, senza il libro – sottolinea il sottosegretario del ministero dei Beni e delle Attività Culturali Ilaria Borletti Buitoni – chi vorrebbe consegnarlo al passato pensa solo al suo supporto materiale. Non considerando che esso potrà cambiare con il mutare delle tecnologie, senza con ciò esaurire la insostituibile funzione del libro nella civiltà moderna”.
Al di là degli esempi, conclude Motta, “c’è un problema politico. Non ne possiamo più di politici che vengono a dirci che amano i libri e la lettura è una priorità. Intanto perché l’autenticità dell’amore per i libri in genere si verifica appena aprono bocca. E perché vi sono sistemi semplici per definire cos’è una priorità: è dove si investe prima che altrove. Se si decide di investire zero (o quasi), vuol dire che si considera la lettura l’ultima delle priorità. Non c’è altro da dire”.