Suburra si apre con Benedetto XVI di spalle, nella sua cappella privata, che medita le dimissioni. Nel film di Stefano Sollima siamo a pochi giorni da quello che il regista definisce “l’Apocalisse”, ovvero le dimissioni del governo di Silvio Berlusconi, il 12 novembre 2011. Dimissioni del Papa, dimissioni del governo italiano, scandalo di Mafia Capitale. Una pellicola da Oscar anche se la rinuncia di Ratzinger viene anticipata di oltre un anno e tirata in ballo, in una lettura emotiva molto convincente ma non reale, nella corruzione della politica. Le spalle di Benedetto XVI piegate dagli scandali dei sacri palazzi, Vatileaks in primis, e la convinzione, maturata e sofferta, di non avere più il peso di reggere il “fardello episcopale”, secondo la celebre espressione di sant’Agostino amata da Ratzinger.
Spalle pesanti come quelle che oggi ha Papa Francesco che, al termine della tradizionale “luna di miele”, si ritrova a essere circondato da corvi che vorrebbero fargli sentire la pressione mediatica per metterlo all’angolo. Da alcune cronache del Sinodo dei vescovi sulla famiglia in corso in Vaticano ormai giunto alla sua fase finale, e soprattutto dalla famosa lettera di 13 o 9, poco importa, cardinali emerge il ritratto di un Bergoglio tiranno e iracondo. Un Pontefice che dopo aver letto la missiva di alcuni porporati, peraltro con critiche e pregiudizi infondati come è stato chiaramente dimostrato regolamento del Sinodo alla mano, avrebbe addirittura avuto un attacco di tachicardia. E il Papa della misericordia dove è andato a finire?
È la parola chiave del suo pontificato, ma ancora di più della sua stessa vita sacerdotale, alla quale ha voluto consacrare anche il Giubileo straordinario che si aprirà l’8 dicembre 2015. Quella misericordia che ha voluto indicare fin dal primo angelus da Papa con i fedeli presenti in piazza San Pietro e che svilupperà in un dialogo del cuore nel suo primo libro intervista “Il nome di Dio è misericordia” (Piemme), scritto con il vaticanista de La Stampa e coordinatore di Vatican Insider Andrea Tornielli, che uscirà in tutto il mondo a gennaio 2016.
Dov’è allora il tiranno Bergoglio ritratto da alcuni per riempire le cronache di un Sinodo dove, detto francamente, le conclusioni sembravano assai scontate già prima che iniziasse? Un tiranno che chiede perdono per gli scandali nella Chiesa a Roma e in Vaticano e ha davanti agli occhi il coming out di monsignor Krzysztof Charamsa, la pedofilia dell’ex nunzio apostolico Jozef Wesolowski, morto all’inizio del suo processo penale, lo scandalo omosessuale dei carmelitani a Roma.
Dov’è allora il tiranno Bergoglio? Si guarda con tanta attenzione al Sinodo, al dibattito tra i 270 padri, ai veleni dentro e fuori l’aula, ma si dimentica che non è un parlamento dove si sta approvando o meno una legge dal cui passaggio dipende la tenuta del governo di Francesco. Si capisce allora, esattamente a 50 anni di distanza, il motivo per cui il beato Paolo VI quando mezzo secolo istituì il Sinodo lo volle esclusivamente consultivo e non deliberativo.
Nella Chiesa decide sempre e solo il Papa: è una monarchia assoluta. Su questo il Codice di diritto canonico è chiarissimo: “Spetta al Sinodo dei vescovi discutere sulle questioni da trattare ed esprimere propri voti, non però dirimerle ed emanare decreti su di esse, a meno che in casi determinati il Romano Pontefice, cui spetta in questo caso ratificare le decisioni del Sinodo, non gli abbia concesso potestà deliberativa”. Sempre Montini, il primo riformatore moderno della Chiesa, prima di prendere una decisione magisteriale sull’uso dei contraccettivi, incaricò una commissione, della quale faceva parte anche l’allora patriarca di Venezia, il cardinale Albino Luciani, poi suo successore sulla cattedra di Pietro.
La commissione si espresse a larga maggioranza a favore dei contraccettivi, ma il Papa, nella totale solitudine che è connaturale al suo ruolo, decise esattamente all’opposto scrivendo la Humanae vitae, passata alla storia come “l’enciclica della pillola”. Farà così anche Francesco?