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Privatizzazioni, su Fincantieri ora c’è anche l’ombra di una ricapitalizzazione da 500 milioni

Per ora si tratta solo di una eventualità dal momento che, come fa sapere la società, “ad oggi nessuna decisione è stata presa” e nessun consulente è stato “incaricato di studiare tale operazione”. Ma, ancora una volta gli indizi, non testimoniano a favore dell'ottimismo. E l'operazione sta già costando cara ai risparmiatori

Mentre Poste si prepara a chiudere il collocamento in Borsa, Fincantieri potrebbe tornare a chiedere soldi ai risparmiatori e allo Stato creando non poco imbarazzo nei palazzi romani. A neanche un anno di distanza dallo sbarco in Piazza Affari, la prima società privatizzata da Matteo Renzi avrebbe infatti bisogno di un aumento di capitale superiore ai 500 milioni, pari a poco meno della metà del valore del gruppo sul mercato. Se l’indiscrezione, riportata dal Corriere della Sera, dovesse essere confermata dai fatti, allora i soci Fincantieri rischiano di dover nuovamente sborsare denaro. In alternativa, vedranno diluire il peso del loro investimento. Davvero una brutta notizia per la Cassa depositi e prestiti, che ha ancora il 70% del gruppo, e per i piccoli risparmiatori che hanno acquistato ben 401 milioni di titoli (per un importo di 313 milioni di euro) in occasione dell’Ipo di Fincantieri.

Le premesse del collocamento, del resto, non erano delle migliori. Inizialmente, infatti, l’operazione avrebbe dovuto piazzare 704 milioni di azioni con una quota consistente destinata agli investitori istituzionali. Sondato il mercato, le banche collocatrici (Banca Imi, Credit Suisse, Jp Morgan, Morgan Stanley, Unicredit) decisero di ridurre l’ammontare di titoli a 450 milioni. Di questi appena 50 milioni (pari a neanche 40 milioni di euro) finirono nei portafogli dei grandi investitori. La maggior parte venne infatti venduta ai piccoli risparmiatori che decisero scommettere su un’azienda pubblica con l’idea di essere al riparo dai rischi. Purtroppo per loro, le cose sono andate diversamente: le azioni Fincantieri hanno perso circa il 24% rispetto al prezzo del collocamento.

E come se non bastasse, ora c’è pure il rischio di una ricapitalizzazione che l’amministratore delegato Giuseppe Bono potrebbe domandare al consiglio di amministrazione nella riunione del prossimo 10 novembre. Per ora si tratta solo di una eventualità dal momento che, come fa sapere la società, “ad oggi nessuna decisione è stata presa” e nessun consulente è stato “incaricato di studiare tale operazione”. Ma, ancora una volta gli indizi, non testimoniano a favore dell’ottimismo. Nonostante il portafoglio ordini record, il gruppo ha archiviato il semestre in rosso per 27 milioni e probabilmente chiuderà in perdita anche i nove mesi. I dati non sono piaciuti ai sindacati che denunciano come, negli ultimi anni, l’azienda si sia concentrata “sul terreno finanziario” con un “atteggiamento di chiusura” sul fronte industriale. Intanto “la vertenza contrattuale è bloccata da mesi sul rifiuto aziendale di confrontarsi davvero con le rivendicazioni dei lavoratori”, come ricorda Bruno Papignani, responsabile per la cantieristica della Fiom-Cgil nazionale.

Non solo: la controllata Vard naviga in acque tormentate. La società, acquistata da Bono nel 2012 con un’offertada 900 milioni, ha informato gli investitori che ci sarà un “impatto negativo significativo” sui conti 2015. La colpa è delle “difficoltà operative dei cantieri brasiliani” e “all’attuale difficile contesto politico-economico”. Inevitabile l’effetto boomerang sui conti di Fincantieri, il cui titolo, è letteralmente crollato in Borsa nella seduta di giovedì 15 ottobre quando è arrivato a perdere fino al 19% per poi chiudere a -14 per cento. Per fortuna che dalla facciata della sede della Borsa di Milano è stata rimossa per tempo la scenografica prua della nave Fincantieri costata 600mila euro e creata ad hoc per celebrare l’avvio delle contrattazioni. Altrimenti c’era il rischio, modello Titanic, di tirar giù tutto il mercato.