Nel 2012, quando sul Biscione soffiavano venti di crisi, circa settanta dipendenti tecnici delle ex sette sedi periferiche di Cologno vennero spediti alla Dng, che ora ne vuole lasciare a casa la metà. Eppure l’accordo di tre anni fa garantiva cinque anni di commesse da parte di Mediaset a Dng e agli ex lavoratori di Videotime (la società del Biscione che raggruppava i tecnici) e la possibilità di rientrare in caso di crisi. Così non è stato
Esternalizzati tre anni fa e ora a rischio licenziamento. È la sorte degli operatori e montatori delle ex sette sedi periferiche Mediaset, cedute a una società terza nel 2012 quando sul Biscione soffiavano venti di crisi e ci fu bisogno di una cura da cavallo per rimettere in sesto i conti. Ora però la Digital News Gathering, l’azienda che li aveva presi in carico, ha annunciato di volerne mettere alla porta trentadue, ovvero metà organico. Eppure l’accordo firmato garantiva cinque anni di commesse da parte di Mediaset a Dng e agli ex lavoratori di Videotime (la società del Biscione che raggruppava i tecnici) e la possibilità di rientrare a Cologno in caso di crisi. Per questo l’iniziativa è stata immediatamente contrastata dai sindacati e dal Coordinamento dei comitati di redazione dei giornalisti Mediaset, che continuano a lavorare quotidianamente con gli ex – sulla carta, ma non nella sostanza – colleghi.
La storia inizia il 15 settembre, quando Dng, amministrata da Renato Pizzamiglio, dirigente Mediaset negli Anni Ottanta e Novanta, apre le procedure di licenziamento per 32 lavoratori, più della metà dei 60 dipendenti totali. Nel dettaglio, l’azienda intende chiudere le sedi di Ascoli e Cagliari, mentre ridurrà al minimo il personale a Bari, Genova, Napoli, Palermo e Venezia. La società ha giustificato i tagli con l’esigenza di “correggere l’evidente squilibrio finanziario tra costi ed effettiva redditività delle attività”. Il bilancio 2014 parla di 8,6 milioni di euro di fatturato a fronte di 9,4 milioni di uscite. L’azienda fa riferimento anche al contratto con Videotime, “che prevede tariffe e volumi decrescenti”, e alle mutate “condizioni del settore (in senso peggiorativo soprattutto i termini di remunerazione sul mercato dei servizi resi dalla società)” che in questi anni, secondo fonti sindacali, avrebbe visto venir meno anche un paventato accordo con Sky. “A Dng chiediamo un impegno, in concorso con Mediaset, per rilanciarsi sul mercato e salvaguardare l’occupazione – spiega Massimo Luciani, responsabile del settore emittenza privata per il sindacato Slc Cgil – Se questo non fosse possibile, Mediaset deve farsi garante della continuità occupazionale dei lavoratori”. Una richiesta altrettanto forte è arrivata a fine settembre dai giornalisti del Biscione che richiedono la tutela del posto di lavoro per gli operatori, definiti “professionalità tecniche altamente qualificate” e che “per oltre vent’anni hanno lavorato, contribuendone al successo, nelle società del gruppo”.
Se non si troverà un accordo, ai primi di dicembre partiranno le lettere di licenziamento. Ma i sindacati puntano a rivendicare quanto stabilito dall’intesa che ha sancito il passaggio dei dipendenti da Videotime a Dng, dove si delineava uno scenario diverso. Al capitolo “garanzie” è previsto infatti che, nel caso di licenziamenti collettivi nei primi cinque anni di attività – ed è solo iniziato il quarto – le due società si sarebbero impegnate “a individuare soluzioni finalizzate alla salvaguardia dell’occupazione del personale (…) non escludendo la possibilità di ricollocazione nell’ambito di Videotime”. Una soluzione che al momento non sembra configurarsi all’orizzonte. Contattata da ilfattoquotidiano.it, Mediaset aspetta l’incontro già fissato con i sindacati per il prossimo 29 ottobre prima di commentare la vicenda. Mentre le dichiarazioni della Dng chiudono a ogni possibilità di recedere dall’intento: “Abbiamo una serie di aziende con bilanci in perdita all’interno del gruppo Ebd (quello di Pizzamiglio, nda) e non siamo in grado di poter garantire il ricollocamento di personale da una società all’altra – spiega Marco Pacciarini, chief operation officer di Dng – Questa operazione prevedeva una sfida da affrontare con più committenti. Per una serie di motivi questo non sta accadendo: il nostro personale costa troppo considerando il mercato, ma soprattutto il mercato stesso in questo momento offre poco”.
Ai sindacati non resta quindi che sperare in Cologno: “Le due società sono responsabili in solido: uno dei capisaldi di questa operazione era che Mediaset facesse da paracadute se le cose fossero andate male. Altrimenti dovremmo dire che hanno creato una società per poi rottamarla. Non possiamo accettarlo. Sarebbe come una tonnara per i lavoratori: isolati con le reti e poi ammazzati a colpi di bastone”, attacca Luciani. D’altra parte, quella della Dng non è una storia isolata. Nel 2010 cinquantasei parrucchieri e truccatrici delle sedi di Milano e Roma erano state trasferite a una società esterna, la Pragma Service, dove la situazione secondo i sindacati è tutto fuorché rosea. Mentre i licenziamenti in vista da parte di Pizzamiglio non sarebbero i primi della breve vita di Dng. Nel 2012 i dipendenti erano 74, ora ne restano 60. Fonti sindacali spiegano che, in questi anni, sei persone sono state licenziate individualmente e sono in corso delle cause contro questi provvedimenti. Gli altri otto dipendenti, aggiungono ancora i sindacati, hanno trovato invece un accordo con l’azienda e alcuni di loro sono rientrati al lavoro come partite Iva.