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Mille miglia, perché si fermò?

Un minuto dopo la mezzanotte tra il 1° e il 2 maggio del 1955, Gigi Rapetto partiva con la sua Fiat 1100 103 da Brescia. Nel rispetto dell’orario del via (le cui cifre marcavano la carrozzeria con pennellate di vernice) la vettura era la 001. Nonostante la piccola cilindrata, le strade avventurose e la corsa per metà illuminata dai fari (quelli in pole position partivano con la luce del giorno), papà riuscì nell’impresa di completare la Mille Miglia ad oltre 108 km/h di media.

L’impresa era proprio quella di completare la corsa, tradizionalmente funestata da incidenti che insanguinavano la sfida più bella del mondo. Babbo mi raccontava spesso delle ardimentose gare e in particolare della Coppa Mazzotti (questo il trofeo della leggendaria Brescia-Roma-Brescia), delle amicizie più inossidabili e brillanti di qualsiasi cromatura, dello spirito sano della competizione e della solidarietà capace di sovrastare la naturale rivalità.

Avrei voluto domandargli perché la Mille Miglia – di cui da qualche anno si rivive la pacata e patinata riedizione per auto vintage – fosse stata sospesa. Non ne ho avuto modo. Appassionato e collezionista (forse per contagio domestico) di veicoli d’epoca, qualche giorno fa mi sono nuovamente chiesto quale fosse la ragione e ho provato a fare una non faticosa ricerca.

Ho così scoperto la storia della persona con il nome più lungo del mondo: Alfonso Antonio Vicente Eduardo Angel Blas Francisco de Borja Cabeza de Vaca y Leighton. Conosciuto come Alfonso de Portago, o forse semplicemente “Al” per amici e parenti, è il marchese di Portago e un brillante e fantasioso pilota.

Milionario rubacuori, famiglia spagnola di spicco, nato a Londra, studi in Francia, quattro lingue parlate fluentemente, è abituato a fare cose straordinarie. Precoce cacciatore di brividi, a 17 anni scommette di passare con il suo aeroplano sotto un ponte e con la sua miscela di coraggio e azzardo vince 500 dollari. Sportivo di estrema versatilità (gareggia nella nazionale ispanica di bob alle Olimpiadi invernali del 1956 a Cortina), esordisce al volante come “secondo” in un equipaggio della micidiale “Carrera Panamericana” nel 1953 e tre anni dopo arriva alla Formula 1.

Cavaliere senza paura, come i valorosi “corridori” di quel tempo, non si spaventa quando a Silverstone, nel 1955, viene sbalzato fuori dalla sua Ferrari a 140 chilometri l’ora. Se la cava con una gamba spezzata, ma l’appuntamento con la morte è solo rinviato.

Lui – che diceva che non avrebbe mai concluso la sua esistenza a causa di un incidente, ma ci avrebbe lasciato al termine di una lunga vecchiaia o a seguito di una iniqua condanna alla pena capitale per un clamoroso errore giudiziario – è atteso dal destino alla Mille Miglia del 1957.

Durante la gara – ad un certo punto del tragitto – inchioda la macchina e accosta. Salta la recinzione e bacia la sua fidanzata, per poi ripartire a tutta velocità.

La sua Ferrari viaggia a quasi 240 orari quando, nel lungo rettilineo tra Cerlongo e Guidizzolo, un pneumatico esplode. L’auto si avvita e finisce sulla folla uccidendo 9 persone, cinque delle quali bambini.

Il bolide rosso numero 531 atterra sui due uomini a bordo, sfigurandoli al punto di rendere quasi impossibile il loro riconoscimento. Il copilota era il giornalista americano Edmund Gurner Nelson. Il corpo di Portago è tranciato in due pezzi: il ragazzo di 28 anni che sognava di invecchiare è diventato immortale.

Le indagini sull’incidente portano a scoprire che “Al” – determinato a vincere a tutti i costi – non aveva voluto fermarsi a cambiare la gomma usurata per non perdere tempo. L’evento clamorosamente infausto segna la fine di un mito, il cui tributo di vite umane costituiva un prezzo oggettivamente inaccettabile. Non sempre i sogni sono morbidi e delicati. Spesso li si ricorda proprio per le paure e il dolore che lasciano nel cuore.

@Umberto_Rapetto