“L’Italia deve smettere di consumare suolo e deve riqualificare gli spazi che ci sono nei centri storici, nelle periferie urbane del Paese, che va sostenuto”, ha detto il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, a Palermo. Tema quello del consumo di suolo, a dire il vero, del quale il ministro ha sottolineato la centralità in diverse occasioni. Suggerendo soluzioni. Come quella di trovare per i Comuni forme alternative agli oneri di urbanizzazione, norma questa che spinge gli amministratori locali ad accettare il cemento in più per fare cassa. Nel 2009, schierandosi contro il Piano casa berlusconiano, perché “si tratta di una cementificazione”. Aggiungendo che la misura era pericolosissima “quello che ci rende unici nel mondo è il paesaggio, i nostri centri storici. Così, invece, si rovina il territorio”. Dichiarazioni ineccepibili.
La situazione italiana è disastrosa. Lo è sempre più. Le città continuano ad espandersi, a fagocitare suolo. Contemporaneamente la rigenerazione del vasto patrimonio immobiliare in abbandono è ridottissima. Le coste sono urbanizzate oltre misura. Un autentico disastro, da Nord a Sud. Un disastro documentato. Peccato che proclami e suggerimenti di Franceschini risultino insufficienti strumenti di cambiamento. Eppure la cura allo sfracello ci sarebbe. Il ddl sul consumo di suolo. Non più quello avanzato per primo dal ministro dell’Agricoltura Mario Catania, ma una delle sue, diverse, gemmazioni. Ddl che da un governo all’altro, avanza e retrocede, tra un emendamento e l’altro. Nella sostanza diluendo l’intransigenza iniziale. Nel frattempo, tra un disastro e l’altro, da un’alluvione all’altra, si prosegue nella scia del passato. Mettendo in cantiere interventi su alcuni corsi d’acqua, progettando messe in sicurezza di aree “pericolose”. Promettendo che mai più ci saranno condoni edilizi. Ma si evita di affrontare nella sua complessità il problema. Si decide di non votare l’unica misura in grado di invertire la tendenza. La legge che stabilisca che non si possa più consumare suolo. Perché questo non accada è chiaro. Perché “il salto si fa con l’edilizia”, dice, pensa e stabilisce il segretario-presidente Renzi. Il cosiddetto Sblocca Italia è appunto questo. Un caposaldo dell’idea che il comparto delle costruzioni sia ancora l’elemento in grado di portare sviluppo.
“L’edilizia da sola vale più della metà dei posti di lavoro persi ma il settore non è ancora ripartito – vedremo se facendo ripartire l’edilizia il pil fa il salto”, diceva a giugno il premier. Aggiungendo, “Ripartono alcuni settori industriali, ma c’è un settore che non riesce a tirare come vorremmo che è quello dell’edilizia”. Concetti che naturalmente piacciono a Confindustria e all’Ance, assillati dai numeri negativi registrati almeno fino ai primi mesi del 2015, ma molto meno a quanti si preoccupano che gli squilibri di tanti territori italiani siano assorbiti da misure almeno di manutenzione. Soprattutto pianificatori e geologi, ma anche addetti dei Beni Culturali. E’ così che interi paesi e perfino città finiscono di tanto in tanto sott’acqua, le vite di tanti vengono stravolte, troppe persone muoiono. E’ così che, più o meno indirettamente a seconda delle circostanze, elementi del Patrimonio culturale vengono obliterati anche da eventi traumatici. E’ così che frammenti del Paesaggio vengono barattati, senza indecisioni, per un quartiere in più, per una nuova superstrada.
Accade in Italia. Dove succede che Franceschini affermi di inseguire obiettivi che risultano opposti rispetto a quelli di Renzi. Se non fosse che quest’ultimo dà seguito a quel che promette, almeno in questo settore, mentre il primo si limita a parlarne. Ci sarebbe da cadere in confusione. Ma a ben guardare è tutto molto più chiaro di quel che sembri. Il Paesaggio continua ad essere soltanto suolo da occupare. Un bancomat sempre pronto. Almeno fino a quando il ddl sul consumo di suolo non diventerà legge.