L’autunno caldo preannunciato all’inizio di ottobre dal segretario Fiom Maurizio Landini si apre con la proclamazione di uno sciopero generale degli statali come risposta alla legge di Stabilità varata giovedì dal consiglio dei ministri. A indirlo, per il 20 novembre, è stato il consiglio nazionale Usb Pubblico impiego. Il comunicato dell’unione sindacale di base dà “una valutazione completamente negativa sul complesso dei provvedimenti contenuti nella legge di Stabilità ed in particolare per quanto riguarda il vergognoso e sprezzante stanziamento di previsione per il rinnovo dei contratti di 3.200.000 lavoratori pubblici”. Il riferimento è ai 300 milioni previsti come copertura per lo “scongelamento” dei trattamenti salariali dei dipendenti pubblici, imposto dalla Corte costituzionale dopo cinque anni di blocco.
L’Usb “auspica l’allargamento dello sciopero ai lavoratori delle aziende partecipate, degli appalti della pubblica amministrazione e di tutti i settori legati alle politiche pubbliche presenti in Usb, di cui chiediamo la reinternalizzazione di funzioni e lavoratori”.
Anche Cgil, Cisl e Uil dopo l’annuncio dello stanziamento hanno annunciato una “mobilitazione durissima”. Trecento milioni, hanno calcolato, “equivalgono a 7,80 euro lordi al mese per i prossimi tre anni”. La numero uno degli statali della Cgil, Rossana Dettori, ha parlato di “un aumento di 40 centesimi al giorno”, “una vergogna”. I segretari confederali del pubblico impiego si incontreranno martedì 20 ottobre per decidere come muoversi.
Sul piede di guerra anche le altre sigle del pubblico impiego, in prima fila la Confsal Unsa che è stata tra i promotori del ricorso contro il blocco della contrattazione giudicato illegittimo dalla Consulta. Per il segretario generale Massimo Battaglia, “si tratta di una implicita violazione dei principi della sentenza della Corte Costituzionale”: “Prima della sentenza 178/15 della Consulta che ha obbligato il governo a rinnovare i contratti della Pa, l’Avvocatura dello Stato ha quantificato in 35 miliardi il fabbisogno massimo per detti rinnovi. Alla luce della sentenza, solo considerando l’inflazione programmata, la Confsal-Unsa ha calcolato che servono almeno 6,5 miliardi di euro. Pertanto, parlare di risorse pari a 200 o 300 milioni per i contratti pubblici significa niente: significa prorogare il blocco contrattuale fino al 2018″.