La legge di Stabilità varata dal consiglio dei ministri giovedì scorso è “perfetta dal punto di vista del consenso” perché, eliminando le tasse sulla prima casa, “toglie un pezzo di patrimoniale“ e “ognuno può calcolare esattamente quanto pagherà in meno”. Peccato che sia “una scelta sbagliata dal punto di vista della crescita e dell’equità sociale“. La politica economica su cui si basa punta a “comprare il voto degli elettori di oggi con i soldi dei cittadini di domani“. Il giudizio tranchant è dell’ex premier e commissario europeo Mario Monti, che dalle pagine del Corriere della Sera non risparmia critiche alla manovra di cui Matteo Renzi ha presentato i contenuti con “25 tweet” ma il cui testo definitivo di fatto è ancora in fase di stesura. Ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, come chiesto da Bruxelles, avrebbe effetti molto più positivi per la crescita, rendendo l’economia “più competitiva e capace di creare lavoro anche per i giovani”, spiega Monti, ma “i moltissimi che ne beneficiano non colgono così chiaramente a chi devono essere grati al momento del voto“. Per di più finanziare la detassazione del lavoro “tassando un po’ di più il patrimonio” sarebbe stato impopolare, anche se la patrimoniale “c’è nella gran parte degli altri Paesi”.
L’economista e presidente della Bocconi, che durante il suo anno e mezzo a Palazzo Chigi ha varato manovre fiscali lacrime e sangue, ora si allinea con la minoranza del Pd secondo cui la ex finanziaria favorisce soprattutto i più ricchi assecondando “gli animal spirits imprenditoriali più con la rimozione di tasse e regole che con lo stimolo a una forte e rigorosa concorrenza e effettive liberalizzazioni“. E auspica che la Ue “svolga fino in fondo il proprio ruolo di sorveglianza“, non concedendo all’Italia tutti gli oltre 13 miliardi di “flessibilità” sul deficit richiesti, perché “si tratterebbe di un’autorizzazione ottenuta dall’Europa perché lo Stato italiano possa essere un po’ meno rispettoso verso i cittadini italiani di domani”. Infatti, ricorda Monti, “la disoccupazione giovanile di oggi è in gran parte il frutto delle politiche del debito degli anni 70 e 80. Sui giovani di oggi sono ricaduti gli oneri di allora”.
Sole 24 Ore: “Pressione fiscale invariata, non riduce prelievo nonostante aumento deficit”
E la storia rischia di ripetersi, visto che, come evidenziato anche sabato su Il Sole 24 Ore da un altro economista ed ex rettore della Bocconi, Guido Tabellini, “le decisioni difficili sulle coperture sono rimandate al futuro” attraverso nuove e pesantissime clausole di salvaguardia (aumenti di Iva e accise che scatteranno nel 2017 a meno che il governo non intervenga l’anno prossimo) da 36 miliardi nel biennio 2017-2018. Quanto alla spending review, quella “vera e propria si riduce a 4 miliardi”. Il resto sono “tagli lineari alle regioni e alla sanità”. Un quadro che rende “facile prevedere che gli obiettivi di disavanzo e rientro dal debito saranno mancati“.
Domenica, sempre sul quotidiano di Confindustria, un editoriale del sociologo esperto di statistica Luca Ricolfi afferma poi che la manovra annunciata dal premier come “espansiva” lascerà “sostanzialmente invariata” la pressione fiscale perché “le promesse cancellazioni e riduzioni, come il mancato aumento dell’Iva (che non è una riduzione di tasse, ma una rinuncia a aumentarle subito)” si innestano su “32 miliardi di aumenti pianificati”. Il saldo, scrive Ricolfi, “fa 9-10 miliardi di tasse in più”. Morale: “Se qualcosa di “sorprendente” c’è in questa manovra è la sua incapacità di ridurre il prelievo nonostante l’ampio ricorso al deficit, misericordiosamente denominato flessibilità Ue”. Dopo aver ribadito che massicci aumenti di tasse sono evitati solo “chiedendo all’Europa di lasciarci continuare a rimandare il pareggio di bilancio“, Ricolfi individua poi la “linea di politica economica non dichiarata” che ispira la legge: “Alleggerire la pressione fiscale sui produttori, spostandola sulla collettività, senza modificare sostanzialmente l’ammontare del prelievo complessivo”.