Bastava non essere più lui. E’ dal niente è spuntato Francisco De Castro Visconti, un cognome aristocratico e una vita anonima fino a qualche mese fa. Poi il blitz e il clamoroso arresto – a fine maggio scorso – dopo 31 anni di latitanza. Lui giura e spergiura di aver sempre vissuto con la sua famiglia a Recife, in Brasile. Di aver chiuso con il passato e di non aver più nulla a che fare con l’Italia. Pasquale Scotti, 56 anni, detto ‘O collier, è emerso dalle tenebre. La giustizia italiana l’insegue: deve scontare molti ergastoli.
La richiesta di estradizione è stata inoltrata dal ministero della Giustizia. Siamo alle battute finali. Pasquale Scotti – martedì prossimo – finirà davanti ai giudici della Suprema Corte Costituzionale brasiliana. In quella sede si discuterà se ‘O collier farà ritorno in Italia oppure no. La legislazione brasiliana è chiara: se c’è un avversità politica tale da minacciare la vita di un cittadino straniero anche se gravato da pregresse condanne come l’ergastolo, l’estradizione non è concessa. Il caso più clamoroso e dibattuto che coinvolge un cittadino italiano è quello di Cesare Battisti. Pasquale Scotti gioca una complicata partita a scacchi. L’ex braccio destro del padrino Raffaele Cutolo, capo della Nco, adopererà tutte le carte possibili pur di restare in Brasile con la propria famiglia.
Per salvarsi, l’uomo dei misteri, per la prima volta sarà costretto a raccontare brandelli di verità. Chi lo ha avvicinato, lo descrive come un uomo preoccupato ma risoluto e tranquillo. Durante questi mesi di detenzione sembra aver messo in fila fatti, circostanze e ricordi. Con pignoleria ha ricostruito eventi e situazioni. Appunti raccolti in diverse pagine raccolte in un voluminoso memoriale. Scotti non scherza e lancia chiari segnali. Questa clamorosa rivelazione affidata al cronista ne è una testimonianza concreta.
“La mia rocambolesca fuga la notte di Natale del 1984 dall’ospedale civile di Caserta – racconta – dove ero ricoverato in stato di detenzione era stata concordata. C’era un piano preciso per farmi evadere. Non è casuale se dal Nord Italia ritornai a Caserta. La mia custodia in ospedale dalla polizia passò ai carabinieri. I militari dell’Arma alla vigilia di Natale – a un orario stabilito – mi lasciarono la serratura della cella aperta. Un’ auto mi prelevò fuori l’ospedale. Con me c’erano due uomini e un altro era alla guida. La fuga sembrava cosa fatta. Invece durante il tragitto, inaspettatamente una ignara pattuglia della polizia municipale ci fermò per un casuale controllo. Ebbi paura, pensai a una trappola, a qualcuno che mi volesse uccidere. Approfittando del trambusto, scappai facendo perdere le mie tracce”.
Pasquale Scotti – in questa breve dichiarazione – fatta uscire dal penitenziario di San Paolo del Brasile tira in ballo i carabinieri e quindi le istituzioni. Dichiarazioni che dovranno essere vagliate dall’Autorità giudiziaria. Però i particolari, i dettagli, la ricostruzione impressiona per precisione. E’ un tentativo di dialogo a distanza con entità non ben definite. Le stesse – forse – che nel corso della sua lunga latitanza lo hanno tenuto in sonno, protetto e “adoperato”. Non è una storia chiusa, tutt’altro. Non sorprende – neppure – se di recente un giudice di grande esperienza e competenza come Carlo Alemi che indagò proprio sul rapimento Cirillo abbia detto: “Spero che Scotti arrivi vivo in Italia”. Impressiona, comunque, sapere dal diretto interessato che non teme la possibile vendetta di vecchi capi camorra ma l’azione ritorsiva di qualche scheggia dei servizi imbeccati da apparati para politici. Vedremo.