Cinema

Morando Morandini, morto a 91 anni il critico cinematografico del “Dizionario dei film”

Il suo percorso, le sue ragioni, la sua passione, infinita, erano ancora all’apice quando pochi anni fa si prese la briga, alla soglia dei 90 anni, dopo avere scritto su quotidiani come La Notte e Il Giorno, su riviste di ogni genere, cadenza e fattura, di inserire nel suo storico “Dizionario dei Film” – Il Morandini (Zanichelli) – anche 500 titoli delle più importanti serie tv. l film più amato? Les Enfants du Paradis (1945). Grazie Morando, ci mancherai

di Davide Turrini

Bye bye Morando Morandini. A 91 anni ci lascia uno dei critici più delicati e letti della storia della critica cinematografica italiana. Difficile percepire tra le sue righe di recensione l’odore acre della stroncature, più facile comprendere il percorso interiore di fronte alla visione del film. Morandini era così: raramente dedito alla polemica, spesso addosso all’emozione spettatoriale. Il suo percorso, le sue ragioni, la sua passione, infinita, erano ancora all’apice quando pochi anni fa si prese la briga, alla soglia dei 90 anni, dopo avere scritto su quotidiani come La Notte e Il Giorno, su riviste di ogni genere, cadenza e fattura, di inserire nel suo storico “Dizionario dei Film” – Il Morandini (Zanichelli) – anche 500 titoli delle più importanti serie tv.

Il continuo ticchettare della sua macchina da scrivere non doveva trarre in inganno nell’era della fretta e della democratizzazione di giudizio dei film sul web. Morandini era “moderno” nell’usare gli strumenti del critico tanto quanto i suoi colleghi più giovani, ma aveva qualcosa di più definibile, chiaro e tradizionale nell’approccio: una sorta di classicità intellettuale e di moderazione personale, una scrupolosità artigianale nello stile che riusciva a ricordare simbolicamente l’incredibile storia di un’arte contemporaneamente cialtrona e spettacolare, esagerata e intima, come il cinema.

La concorrenza forzata con il coevo dizionario de Il Mereghetti, a dire il vedo l’altrettanto lombardo 65enne Paolo ha iniziato a pubblicare il suo dizionario nel 1993 vendendo quasi il doppio delle copie – 250mila “Il Paolo”, 150mila “Il Morando” -, aveva portato i due ad una creazione, involontaria, anche di correnti di pensiero: i morandiniani e i mereghettiani. Una distinzione reale, formale e di contenuto che era pure un’idea diversa della critica. Per il Morandini più eterogenea e innervata di letture socio-politiche del testi, come di un ruolo più defilato e meno narcisistico del critico stesso.

Basta prendere un film al limite, uno qualsiasi di Sergio Leone: mal digerito da Mereghetti, apprezzato comunque da Morandini. Per Il Buono, il brutto, il cattivo (1966) con giudizi in stellette pressochè identici (due e mezzo su cinque Mereghetti, tre Morandini), il primo scrive: “Un bel cocktail di carnevale e di quaresima sebbene diluito da troppi ieratismi e ammiccamenti che hanno fatto un po’ invecchiare il film. Gli nuoce il tentativo di coniugare epica western e comicità latina. L’origine era la voglia di rifare la grande guerra nel west (…). Il triello finale del cimitero è comunque una delle pietre miliari del western all’italiana”. Morandini: “La trilogia del dollaro si chiude nel grottesco: la violenza si carica di ironia beffarda, la guerra è un banditismo organizzato, il racconto è costruito come un gioco dell’oca dove il numero ricorrente è il tre”. Più asciutto e tranchant il primo, più barocco e articolato il secondo.

Ed è proprio qui la lezione, o la versione del Morando: quel qualcosa che ha lasciato il segno racchiuso nella frase da lui pronunciata, raccolta in un documentario su di lui: “Nella vita si vedono ma non si guardano certe cose. Se tu riesci a captarle per qualche secondo o minuto, questa realtà che magari si vede ma non si nota, ecco allora puoi dire qualcosa di nuovo”. Le copertine dei suoi dizionari, scritti in collaborazione prima con la moglie Laura poi con la figlia Luisa, negli anni hanno ospitato frame di Gomorra come de L’uomo che verrà; di Habemus Papam e di Mio fratello è figlio unico; Le meraviglie come Il commissario Montalbano.

Non una sopravvalutazione nazionalistica del prodotto cinematografico italiano, ma una spinta, una tensione verso l’esposizione di un piacere per la settima arte, comunque virata in positivo. I dieci registi più amati? In ordine d’importanza: Sokurov, Eizenstein, Keaton, Mizogouchi e Chaplin (un “contemporaneo” alla Kubrick solo sesto). Il film più amato? Les Enfants du Paradis (1945). Infine, anche se un “the end” per un critico è solo una pausa tra la fine di un film e l’inizio del successivo, c’è in un aforisma politico pulito e libero che solo chi ha guardato i film senza fretta, ha vissuto il dopoguerra italiano senza il fiato sul collo del postmoderno, può serenamente ricordare: “Sono convinto di vivere in un paese governato da una destra capace di tutto e una sinistra buona a niente”. Grazie Morando, ci mancherai.

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