Nel 1992 a Barbara Alario, una ragazza di 17 anni di Senago, nel Milanese, affetta da talassemia major e quindi costretta a continue trasfusioni, fu iniettato sangue infetto da epatite C, che contribuì ad aggravarne la condizione portandola alla morte nel 1994. Una sentenza del Tribunale di Milano ha stabilito che “se la ragazza non fosse stata affetta da Epatite, si sarebbe potuta sottoporre ad un trapianto di cuore e sopravvivere”. I genitori di Barbara hanno subito ottenuto un indennizzo di 70mila euro ma hanno sin da subito fatto causa per il riconoscimento di un risarcimento da danno biologico. Su questo fronte il ministero della Salute ha sempre tentennato. Prima proponendo una transazione e infine non facendosi semplicemente più sentire: vent’anni di attesa per una famiglia straziata dal dolore. Il legale che segue gli Alario, Simone Lazzarini, ricorda che in Italia sono circa 7mila le persone che attendono giustizia per essere state vittime di trasfusioni con sangue infetto – di solito avvenute negli anni ’90 – e tutte che si confrontano con risposte che non arrivano e con un’amministrazione che langue. “Lo Stato ritarda nelle transazioni, ma quando qualcuno si stufa e avvia una causa sino al giudizio finale – dice Lazzarini – poi l’amministrazione è costretta a pagare molto di più con un danno erariale evidente. Ma chi paga per questo? – termina il legale – non certo i funzionari insensibili, ma noi contribuenti” di Fabio Abati
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