Il cibo maggiormente consumato oltre la data indicata sono gli spaghetti. Secondo l'Associazione degli agricoltori, in pochi conoscono il significato delle informazioni contenute sulle etichette delle confezioni
Oltre la metà degli italiani (55%) mangia prodotti scaduti. Un terzo (32%) li butta via mentre il 13% valuta a seconda dell’alimento. Ad affermarlo è la Coldiretti sulla base dei dati Eurobarometro del settembre 2015. Il cibo che maggiormente viene conservato sono gli spaghetti, consumati anche oltre la data di scadenza riportata nella confezione dal 70% degli italiani. Secondo l’indagine, in pochi conoscono le diverse diciture contenute sui prodotti alimentari: “A guidare i comportamenti degli italiani è la scarsa conoscenza delle informazioni fornite in etichetta, in particolare in merito al diverso significato tra da “consumarsi preferibilmente entro il…” e “da consumarsi entro”. La dicitura “da consumarsi entro…” è la data entro cui il prodotto deve essere consumato ed anche il termine oltre il quale un alimento non può più essere posto in commercio. Tale data non deve essere superata, altrimenti ci si può esporre a rischi importanti per la salute. Si applica ai prodotti preconfezionati, rapidamente deperibili come il latte fresco (7 giorni) e le uova (28 giorni)”.
“Discorso diverso – continua la Coldiretti – merita invece il Termine Minimo di Conservazione (TMC) riportato con la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro” che indica la data fino alla quale il prodotto alimentare conserva le sue proprietà organolettiche e gustative o nutrizionali, in adeguate condizioni di conservazione, senza con questo comportare rischi per la salute in caso di superamento, seppur limitato, della stessa”.
L’associazione degli agricoltori italiani ha indicato delle regole di comportamento anche per le aziende: “E’ loro compito effettuare prove di laboratorio sui propri prodotti, per misurare la crescita microbica e valutare dopo quanti giorni i valori organolettici e nutrizionali cominciano a modificarsi in modo sostanziale. Il risultato è ad esempio che per l’olio d’oliva extra vergine alcune aziende consigliano il consumo entro 12 mesi, altre superano i 18, con il rischio di perdere le caratteristiche nutrizionali e di gusto. Gli effetti del mancato rispetto dei tempi di scadenza variano da prodotto a prodotto: per lo yogurt, che dura 1 mese, il prolungamento di 10-20 giorni non altera l’alimento, ma riduce il numero dei microrganismi vivi, mentre al contrario per i pomodori pelati quasi tutte le confezioni riportano scadenze di 2 anni, anche se la qualità sensoriale è certamente migliore se si consumano prima”.