Più 6,9%, la crescita più bassa dal 2009 ma, paradossalmente, un dato abbastanza incoraggiante per diversi osservatori. Sono stati diffusi oggi a Pechino i numeri del terzo trimestre 2015 e, come previsto dai più, è stata sforata al ribasso la soglia psicologica del 7%, che poi è la crescita prevista, auspicata, fortemente voluta dal governo cinese per tutto il 2015.
Il dato è però superiore al 6,8% stimato nei giorni scorsi dagli analisti e decisamente al di sopra del 6,4% delle più funeree aspettative, il che induce a escludere il cosiddetto “hard landing” per l’economia cinese; ma restano comunque le preoccupazioni. Va detto che nella prima metà dell’anno la crescita dichiarata era stata del 7%, l’obiettivo di fine anno è quindi ancora ampiamente raggiungibile. Vogliamo scommettere che nel prossimo trimestre l’incremento sarà del 7,1%?
I numeri odierni ci dicono che il settore industriale stenta da mesi. L’Ufficio nazionale di Statistica comunica che la produzione industriale è aumentata del 5,7% il mese scorso, un dato inferiore al 6,1 di agosto. Gli investimenti in capitale fisso, un fattore chiave per l’economia perché lascia intendere quanto gli imprenditori “ci credano” sul medio-lungo periodo, sono aumentati del 10,3% nei primi tre quarti del 2015: è la crescita più lenta dal 2000.
Offrono invece segnali incoraggianti le vendite al dettaglio, cioè i consumi domestici tanto desiderati dall’establishment di Pechino: più 10,9% a settembre, in leggero aumento rispetto al 10,8% di agosto, ma gli esperti si chiedono se siano sufficienti per controbilanciare i chiari di luna del manifatturiero.
A conferma del quadro sopra delineato, ci sono i commenti degli stessi media cinesi: “Continuano le pressioni al ribasso nel settore immobiliare e delle esportazioni, ma i consumi robusti e le infrastrutture hanno impedito un rallentamento più marcato, anche se le preoccupazioni circa i dati persistono”, scrive per esempio China Daily.
Dei consumi in crescita abbiamo detto. Le infrastrutture sembrano invece rappresentare una sorta di “settore traghetto” che dovrebbe guidare la transizione cinese dal vecchio modello di “fabbrica del mondo” a quello nuovo di “economia evoluta”.
Le infrastrutture bruciano le risorse industriali in eccesso (leggi alla voce manifatturiero) e aumentano l’interconnessione; le infrastrutture, nel progetto complessivo della Cina, significano lo sviluppo del proprio grande occidente ancora arretrato e, soprattutto, “One Belt, One Road“, il progetto di rinnovata Via della Seta che intende attraversare Eurasia e che la Cina offre al mondo. Ma soprattutto a se stessa.
Certo, il futuro della Cina non può dipendere solo da cemento e acciaio disseminati dal Pacifico all’Atlantico: nuove tecnologie e servizi ad alto valore aggiunto sono i settori chiave. Il premier Li Keqiang aveva indicato nei giorni scorsi proprio la nascita di nuove industria dell’IT e l’urbanizzazione in corso – cioè appunto i servizi – come i più promettenti fattori per la futura crescita cinese. Anche il mercato del lavoro continua a crescere, alla faccia del rallentamento manifatturiero. Ormai, è infatti il settore dei servizi – ad alta intensità di lavoro – a fare da traino. Nel secondo trimestre era incrementato del 12,1%, nel terzo “solo” dell’11,9%, confermando però numeri a doppia cifra ben al di sopra della crescita complessiva.
Certo, qui si apre tutto un capitolo sull’attendibilità dei dati ufficiali cinesi: l’incremento del 6,9% corrisponde pari pari alle anticipazioni del premier che, sabato scorso, aveva detto in una riunione di alti funzionari che “un Pil un po’ più alto o più basso del 7% è comunque accettabile”, finché “[il livello di] occupazione rimane adeguato, il reddito della gente cresce, e la situazione ambientale continua a migliorare”. Guarda caso, ecco che quel “un po’ più basso” si autoavvera con il 6,9% di oggi.
Va tuttavia anche detto che, contrariamente a quanto divulgato da alcuni media occidentali, i dati cinesi possono essere inattendibili sia al rialzo sia al ribasso, perché vengono raccolti da quei funzionari locali le cui carriere dipendono dai dati stessi: se c’è bisogno di fare bella figura, ecco i numeri alti; se c’è bisogno di intercettare finanziamenti, ecco quelli bassi. Quindi, in attesa che la Cina trovi un metodo definitivo, prendiamo per buono questo 6,9%.
A questo punto, tutti pensano che sia in arrivo qualche forma di stimolo da parte del governo. Si scommette su un nuovo taglio dei tassi di interesse e dei coefficienti di riserva obbligatoria delle banche, per cercare di aumentare la liquidità in circolazione. Sperando che invece delle consuete bolle speculative stimoli i settori avanzati o, quanto meno, le buone, vecchie/nuove infrastrutture.
di Gabriele Battaglia