L’11 ottobre un tribunale di Teheran ha condannato in primo grado a sei anni di carcere e 223 frustate il regista curdo iraniano Keywan Karimi. L’accusa è di aver offeso le istituzioni sacre dell’Iran.
La vicenda giudiziaria di Karimi inizia il 14 dicembre 2013. Agenti di polizia irrompono senza mandato nella sua abitazione. Lo arrestano e portano via gli hard disk dei suoi computer. Dopo 12 giorni, Karimi viene rilasciato su cauzione ma, nel frattempo, l’inchiesta è stata avviata.
Le “prove” dell’offesa alle istituzioni sacre iraniane vengono trovate negli hard disk. SI tratta di un video musicale lasciato a metà e di un documentario intitolato “Scrivere sulla città”, mai proiettato e di cui è disponibile solo il trailer su YouTube, sull’uso dei graffiti come mezzo di comunicazione politica dalla rivoluzione islamica del 1979 alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad nel 2009.
Karimi è molto conosciuto all’estero. Il suo film più noto è “L’avventura di una coppia sposata”: un bianco e nero minimalista tratto da una storia di Italo Calvino, proiettato in 40 Paesi – Italia compresa – e premiato in Spagna e in Colombia: un film sulla classe operaia, che Karimi ha sempre considerato il centro del suo interesse in un mondo cinematografico (cito da un suo recente articolo) “pieno di celebrità vacue, di storie prive di senso sulla moda, sui prodotti commerciali e sul Dio del capitale”.
Un’altra opera che potrebbe aver irritato le autorità è un cortometraggio dal titolo “Frontiere spezzate”, premiato all’International Tour Film Festival di Tolfa nel 2012. Il corto denuncia il contrabbando di gasolio verso il Kurdistan iracheno attraverso i monti Zagros. A un certo punto, un insegnante chiede ai suoi alunni: “Cos’è una frontiera?”. Risposta di uno di loro: “Un posto attraverso il quale si contrabbanda merce”.
La condanna di Karimi potrebbe essere frutto delle pressioni che l’ala più conservatrice del clero iraniano sta facendo sul presidente Rohani affinché impedisca l’ulteriore diffusione nel Paese della “decadente cultura occidentale”.
Resta il fatto che, oltre a essere un attacco alla libertà d’espressione, la condanna di Karimi risulta particolarmente insensata: l’Università di Teheran ha sostenuto sempre i suoi lavori, compreso “Scrivere sulla città”.
In attesa dell’esito del ricorso in appello, Karimi non è stato portato in carcere. Ma potrebbero essere le sue ultime due settimane di libertà.