Mila Haftom Zarhum, 29 anni, ha perso la vita durante un attentato nella stazione centrale degli autobus di Beer Sheva, nel Neghev. Scambiato per un complice dell’attentatore arabo, è stato colpito dal fuoco di un agente di sicurezza. Quindi, mentre era a terra incapace di esprimersi in ebraico, è stato ancora colpito alle gambe dalla guardia di frontiera e percosso da persone persuase che fosse un terrorista palestinese
Gli agenti delle forze di sicurezza gli hanno sparato “solo per il colore della pelle”: questa, in definitiva, secondo Yediot Ahronot, la ragione della morte violenta di Mila Haftom Zarhum, 29 anni, il cittadino eritreo rimasto ucciso durante un attentato nella stazione centrale degli autobus di Beer Sheva (Neghev). Scambiato erroneamente per un complice dell’attentatore arabo – un beduino del Neghev – è stato colpito dal fuoco di un agente di sicurezza. Quindi, mentre era a terra incapace di esprimersi in ebraico, è stato ancora colpito alle gambe da spari di un agente della guardia di frontiera e percosso da persone persuase che fosse un terrorista palestinese. Su di lui sono piovuti sputi e calci. In nottata è spirato in ospedale.
Da ieri la comunità dei migranti africani in Israele (45mila persone, per lo più originarie dell’Eritrea e del Sudan) vive nella paura. “Un episodio della massima gravità”, ha commentato una portavoce della polizia. “Abbiamo aperto un’inchiesta per identificare e punire i responsabili delle violenze”. E alla Knesset (Parlamento) anche Benyamin Netanyahu ha censurato l’attacco al migrante. “Nessuno – ha detto – creda di poter prendere la giustizia nelle proprie mani”. In casi del genere il trattamento dei presunti attentatori è prerogativa delle forze dell’ordine, ha aggiunto il premier israeliano. Zarhum era in Israele da quattro anni. Aveva servito nelle forze armate eritree, ma come molti altri connazionali aveva lasciato il Paese in cerca di fortuna. Era arrivato in Israele un pò per caso, dicono i conoscenti. Aveva trovato lavoro a Ein Habsor, in una fattoria dove si coltivano i fiori.
Lunedì Zarhum era arrivato a Beer Sheva per estendere il visto di soggiorno. Ma si è trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Mentre nella stazione degli autobus si creava il caos in seguito agli spari di un attentatore arabo un agente di sicurezza ha visto l’eritreo e – malgrado fosse disarmato – gli ha sparato. I suoi amici dicono oggi che Zarhum ha appena fatto a tempo a gridare, presumibilmente in inglese, “sono un profugo“. Nei corridoi della stazione degli autobus c’era una folla impazzita dalla collera. Zarhum era disarmato. “Eppure – secondo alcune testimonianze – i suoi assalitori hanno continuato a colpirlo con una panca, a sputargli, a dargli calci, ad insultarlo, ad augurargli la morte”.
Un episodio che ha sconvolto l’editorialista di Yediot Ahronot Dani Adino Abeba, un ebreo di origine etiope che invita i lettori a dedicare maggiore attenzione ai migranti africani in Israele. “Questa non è certo la loro guerra. Anche loro, come la maggior parte di noi, vivono ormai nella paura per la realtà israeliana”. Zarhum era venuto in Israele “per sostenere la propria famiglia in Eritrea”.
Ma in alcuni siti web di estrema destra i commentatori si compiacciono per la morte violenta di Zarhum e si augurano che serva da monito agli altri migranti africani. “Se non si trovano bene in Israele – è stato scritto – non hanno altro da fare che cercare un posto migliore. Noi di certo non li ostacoleremo”.