Il disavanzo rilevato dalla Corte dei Conti nasce dall'uso illegittimo dei fondi girati dal governo all'ente perché pagasse i debiti ai fornitori. Ora per coprirlo la regione paga una rata di 800 milioni l'anno. Dopo lo stop del Colle al decreto con cui l'esecutivo voleva metterci una pezza, la norma è stata ora inserita nella Stabilità. Ma secondo il governatore non si può aspettare
Il disavanzo della regione Piemonte è salito l’anno scorso a oltre 5,8 miliardi di euro dai 5 del 2013. Lo ha certificato la Corte dei Conti, nel giudizio di parificazione del bilancio 2014 arrivato a venti giorni dallo stop del Quirinale al decreto “salva Regioni” messo a punto dal governo. Il governatore Sergio Chiamparino torna a sollecitare “un intervento legislativo urgente”, senza il quale, avverte, “non saremo in grado di fare un bilancio”. Ma un escamotage contabile come quello che era stato messo a punto da Tesoro e Palazzo Chigi non potrà comunque risolvere il problema di fondo: l’ente deve far fronte a una rata annuale di 800 milioni, che “su un bilancio di 400 milioni è praticamente impossibile”, come ha fatto presente l’esponente Pd che presiede anche la conferenza dei governatori. I magistrati della sezione regionale di controllo dal canto loro hanno avvertito che “la situazione finanziaria potrebbe ancora peggiorare” e per questo “appare auspicabile un decisivo intervento legislativo che preveda per la Regione Piemonte un piano di rientro che sia economicamente sostenibile e che al tempo stesso non blocchi gli investimenti necessari per il rilancio dell’economia piemontese”.
A lasciare a Chiamparino la patata bollente, stando alla sentenza emessa lo scorso luglio dalla Corte costituzionale, è stata la giunta di Roberto Cota, in carica fino al giugno 2014: secondo la Consulta ha utilizzato in modo “improprio“, cioè per finanziare nuove spese, i fondi che lo Stato aveva girato all’ente per rimborsare i debiti arretrati nei confronti dei fornitori. Risultato: un “allargamento oltre i limiti di legge della spesa di competenza, l’alterazione del risultato di amministrazione e la mancata copertura del deficit”. Così a settembre la Corte dei conti ha certificato che nel 2013 il disavanzo si è attestato a quota 5 miliardi, contro i 360 milioni dichiarati. Nel frattempo, il servizio del debito ha fatto salire ulteriormente il conto.
Per “salvare” Chiamparino ma anche gli altri governatori con problemi simili, il Tesoro e Palazzo Chigi intendevano consentire alle regioni di mettere a bilancio ogni anno i soldi ricevuti dallo Stato anche tra le entrate, indicando però come spesa effettiva solo la quota da rimborsare in quell’esercizio. Un trucco che avrebbe mascherato il problema senza risolverlo e che non è piaciuto a Sergio Mattarella: i dubbi del Colle, che ha chiesto “approfondimenti”, hanno impedito che il 29 settembre il Consiglio dei ministri varasse il provvedimento. Così il governo ha rinviato l’intervento alla legge di Stabilità, che però entrerà in vigore solo l’1 gennaio 2016. “Così al momento non ci serve a nulla”, hanno spiegato il governatore e l’assessore al Bilancio Aldo Reschigna davanti ai giudici contabili.
Ora Chiamparino non solo chiede al governo di muoversi con urgenza, ma contesta anche i calcoli della Corte dei Conti. Sostenendo che circa 3,9 miliardi su 5,8 dipendono dalla “errata interpretazione” del decreto 35 del 2013, quello con le norme per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Interpretazione dichiarata illegittima dalla Consulta. “Se si risolvesse questo problema – ha detto Reschigna – resterebbe un debito di 1,3 miliardi e con una rata annuale di 230 milioni: una cifra che ci fa ugualmente venire i brividi, ma è un impegno che dobbiamo assumerci come amministrazione regionale”.