Tra i destinatari delle misure restrittive ci sono anche un ricercato e Salvatore Cappa e Eugenio Sergio, entrambi originari di Cutro e finiti nella maxi indagine della Dda di Bologna sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia Romagna che lo scorso gennaio aveva portato a 117 arresti
Cinque arresti e un ricercato per un giro di false fatturazioni a fronte di operazioni commerciali inesistenti. La polizia di Reggio Emilia il 20 ottobre ha messo fine agli affari di un’associazione a delinquere per reati finanziari che vede tra i protagonisti alcune persone già coinvolte nell’inchiesta Aemilia. Tra i destinatari delle misure restrittive eseguite dalla polizia nella nuova operazione denominata “House of cards”, coordinata dalla Procura reggiana, ci sono infatti anche Salvatore Cappa, 47enne residente in provincia di Verona, attualmente in carcere, e Eugenio Sergio, reggiano di 48 anni agli arresti domiciliari, entrambi originari di Cutro e finiti nella maxi indagine della Direzione distrettuale antimafia di Bologna sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Emilia Romagna che lo scorso gennaio aveva portato a 117 arresti.
I loro nomi a distanza di quasi un anno compaiono di nuovo nelle carte della magistratura, questa volta per affari che da quanto finora accertato dagli inquirenti avrebbero fruttato in un anno oltre 1,8 milioni di euro per l’evasione delle imposte e l’illecita fruizione di crediti fiscali.
Agli arresti domiciliari nell’operazione è finito anche Marco Carretti, 32enne residente in provincia di Reggio Emilia, mentre per Giovanni Macario, di 31 anni, e Giuseppe Nardo di 51, è stato disposto l’obbligo di firma. Dell’organizzazione faceva parte anche una terza persona che però è ancora ricercata dalla polizia. Tutti sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere, false fatturazioni, estorsione e usura.
A fare scattare le indagini è stata una denuncia per estorsione e usura che vedeva nel mirino Eugenio Sergio. L’uomo avrebbe minacciato un giovane per farsi restituire 7mila euro prestati, convincendolo con frasi come: “Se non mi porti i soldi, ti sparo in bocca”. Quindi si sarebbe fatto rimborsare la somma di 7.700 euro dopo quattro giorni, con un tasso quindi del 912 per cento, e a seguito di un prestito di altri 7mila euro, avrebbe chiesto la restituzione di 16mila euro dopo sei mesi, con un tasso del 298 per cento.
Di qui gli inquirenti hanno individuato una società “cartiera”, la Full Trade, intestata a Carretti e diretta da Macario, da Cappa e dal terzo uomo di cui si sono perse le tracce, che serviva a emettere fatture per operazioni inesistenti. Grazie a questo modus operandi, le imprese “amiche” dell’organizzazione riuscivano ad abbassare l’imponibile fiscale, aumentando la possibilità di evasione, e incassavano i rimborsi Iva derivanti dalle operazioni inesistenti.
Carretti aveva il compito di monetizzare i bonifici arrivati dalle società compiacenti prelevando agli sportelli bancomat, mentre Cappa, Macario e l’altra persona ricercata pensavano a reperire le aziende interessate alla collaborazione. Nel giro c’era anche un commercialista, Nardo, che per dare una parvenza di legalità al lavoro offriva la propria consulenza alla società, che tra l’altro aveva stabilito fittiziamente la propria sede legale presso un immobile di proprietà del professionista.