Jackie Sutton è stata ritrovata impiccata nei bagni dell'aeroporto di Istanbul. La polizia turca aveva parlato di una sua crisi nervosa dopo avere perso il volo che la portava a Erbil, dovuta a una presunta mancanza di denaro. E anche Borden, suo collega in Iraq, spiega a Repubblica: "Aveva carte di credito con sé e amici in grado di aiutarla"
La versione della polizia turca è una soltanto: Jackie Sutton, giornalista 50enne, si è impiccata nel bagno dell’aeroporto di Istanbul perché aveva perso il volo per Erbil e non aveva i soldi per comprare un altro biglietto. Ma nel portafogli della donna sono stati ritrovati 2300 euro. Il quotidiano Haber Turk fa emergere altri dettagli sulla morte della donna, presidente del think tank Iwpr (Institute for War and Peace Reporting) con sede a Erbil – nel Kurdistan iracheno – e che e stava conducendo alcune inchieste sulla condizione femminile nell’Isis. E’ stata trovata senza vita da tre passeggere russe in un bagno dello scalo turco, ma nessuna immagine può testimoniare la dinamica del presunto suicidio, perché le telecamere di sicurezza erano guaste. La circostanza non è però stata confermata ufficialmente.
La somma che Sutton portava con sé accresce ulteriormente il mistero intorno alla fine della donna visto che i media locali, citando la polizia turca, avevano parlato di una sua crisi nervosa dopo avere perso il volo per l’Iraq. Eppure nelle immagini a circuito chiuso girate nei corridoi dell’aeroporto, Sutton cammina tranquilla, senza fretta, con lo zaino in spalla e una borsa a mano, che probabilmente conteneva prodotti acquistati al duty free.
Amici e colleghi della cronista chiedono “un’indagine internazionale” sul caso, in un’intervista a Repubblica, Anthony Borden dell’Institute for War and Peace Reporting definisce “inconcepibile” l’ipotesi “che si sia uccisa perché aveva perso un volo ed era senza soldi”. Sutton, prosegue, “aveva carte di credito con sé e amici in grado di aiutarla”. Borden, poi, sottolinea che “quel che (le autorità turche) hanno detto per sostenere” la tesi del suicidio “pone più domande che risposte”.
Il caso di Serena Shim – Alcuni siti inglesi e americani ricordano che un anno fa, il 19 ottobre 2014, la giornalista americana di origini libanesi Serena Shim perse la vita a seguito di un incidente d’auto. Una morte definita “sospetta” da Press Tv, network d’informazione iraniano per cui lavorava. Inviata durante l’assedio di Kobane, la donna – 29 anni, sposata e madre di due figli – un paio di giorni prima di morire aveva spiegato ai colleghi di essere considerata una “spia” dai servizi segreti turchi, e di temere per la sua incolumità. All’origine dei timori, alcuni reportage che aveva realizzato sull’ingresso in Siria attraverso il confine turco di alcuni miliziani Isis, nascosti su alcuni camion apparentemente legati a ong (incluso il World Trade Organization).
La morte di Jackie Sutton – All’aeroporto di Istanbul la donna era arrivata alle 10 di sabato sera con un volo da Londra. Lì, avrebbe solo dovuto fare scalo prima di imbarcarsi 15 minuti dopo la mezzanotte per Erbil, nel nord Iraq, sede del suo ufficio. Ma su quel volo non è mai salita. Dopo averlo perso, raccontano i media turchi, si sarebbe rivolta a un banco informazioni in cerca di aiuto, spiegando di non avere il denaro per comprare un altro biglietto.
Una ricostruzione che però non convince i colleghi, tanto più che le spese di viaggio sarebbero state coperte dalla sua organizzazione. Poi, una presunta reazione nervosa e la fuga in bagno, dove è stata ritrovata senza vita da tre turiste russe che hanno dato l’allarme. Una escalation drammatica che stupisce quelli che la conoscevano.
In Iraq, Sutton aveva molti progetti in corso, tra cui alcune delicate inchieste sulla condizione femminile nell’Isis. “Era molto competente e ben capace di cavarsela in ambienti difficili”, spiega Borden. Insomma, una donna abituata ad affrontare situazione ben più complesse di un contrattempo per un volo perso.
Ad accrescere ulteriormente il mistero intorno alla morte di Sutton c’è la fine del suo predecessore all’Iwpr, Ammar Al Shahbander, ucciso con altre 17 persone in un’autobomba esplosa il 2 maggio scorso a Baghdad. A Londra la donna si era recata, tra l’altro, proprio per partecipare a una cerimonia in sua memoria. Ma secondo la stessa ong non ci sarebbero per adesso ragioni per pensare a un collegamento tra le due morti. Al momento le autorità britanniche restano prudenti, spiegando solo di aver prestato assistenza alla famiglia e di essere in contatto con quelle turche.
In tanti invocano però un coinvolgimento diretto del Foreign Office, nella speranza di approfondire indagini che sembrano essersi chiuse troppo rapidamente. Come Susan Hutchinson dell’Australian National Unversity, dove Sutton stava facendo un dottorato al Centro per gli studi arabi e islamici: “Non credo che si sarebbe potuta suicidare. Penso che serva assolutamente un’indagine completa”