Questa volta vi parlerò di qualcosa che quotidianamente faccio: il mio lavoro. Forse tra i miei lettori e commentatori molti si sono chiesti cosa sia Unimed. Proprio di questo voglio parlarvi, all’occasione della nostra assemblea generale che si terrà mercoledì 21 e giovedì 22 ottobre 2015 ed alla quale parteciperanno oltre 90 università da tutto il Mediterraneo e non solo.
Centottanta persone, forse qualcuno in più, forse qualcuno in meno. Tutte alla Sapienza di Roma, per due giorni, a discutere di Mediterraneo, a confrontarsi sulle prospettive presenti e future di questa regione. Da domani, l’Unimed organizza la propria assemblea generale coinvolgendo i propri membri associati e tutti quanti si interessano di Mediterraneo ed affini.
Unimed, associazione di 91 Università, agisce per il dialogo e la mutua comprensione fra le due rive del oltre che per la ricerca e la formazione dei giovani. Ma non in maniera astratta. La cultura per noi è tangibile ed è rappresentata dai nostri risultati, dall’aver messo insieme tante e diverse università e, cosa non facile, averle fatte dialogare con successo.
Sì, lo so, forse penserete che mi sto facendo pubblicità da solo. Ed in parte è vero, è così. Pubblicizzo uno dei pochi eventi che, nel silenzio totale delle istituzioni, si occupa di problemi che sono a noi vicini, vicinissimi. Lo fa portando ad uno stesso tavolo il mondo arabo, Israele e l’Occidente, l’Europa e l’Islam. Tutti insieme per, banalmente, discutere, trovare soluzioni, immaginare nuovi percorsi comuni.
Alcuni sono amici di vecchia data con i quali abbiamo condiviso le gioie, ed anche i dolori, di 25 anni di attività. Siamo passati attraverso il processo di pace israelo-palestinese ed abbiamo sperato, creduto, che le parole scambiate ad Oslo avrebbero segnato un nuovo capitolo nella storia del Medio Oriente. Abbiamo vissuto il 2001 e l’ondata di islamofobia che ne è conseguita e di cui tutt’oggi le nostre società pagano il prezzo a causa dei brucianti rigurgiti razzisti. Abbiamo sperato, qui meno ingenuamente, che le rivolte arabe avrebbero partorito delle rivoluzioni capaci di spezzare il giogo dell’autoritarismo e delle tirannie. Per noi l’università è sempre stata un logo di dialogo e confronto, mai serva degli scontri, armati e non, che hanno attraversato e sconvolto le nostre società.
Ovviamente non abbiamo mai avuto la pretesa di cambiare tutto il mondo che ci circonda. Ma almeno un pezzettino di esso sì. Provare ad inserire nuove logiche, proporre prospettive differenti, illuminare le aree oscure di una regione di cui si parla, poco, spesse volte male, troppe volte a sproposito. Per noi la cultura non è un qualcosa di astratto, quanto piuttosto un qualcosa di molto concreto.
Il nostro compito è stato questo per venticinque anni e, lo posso assicurare, sarà lo stesso anche nelle prossime 48 ore.