Questo articolo di FQ Magazine fa parte di una serie di contenuti dedicati all’eccellenza enogastronomica italiana. Raccontiamo storie di produttori e appassionati che rappresentano una nicchia importante del made in Italy. Li abbiamo selezionati perché pensiamo che la tutela delle piccole produzioni rappresenti una via possibile per il rilancio del nostro Paese.
Peter Gomez
Un imprenditore di macchinari per vernici della campagna parmense, alla soglia dei 60 anni, sceglie di dar seguito alla sua ambizione segreta: affumicare salmoni. Claudio Cerati fa i primi esperimenti sotto il portico di casa. Vuole dare al salmone l’aroma della brace che sua nonna faceva nel camino: per farlo, lo affumica con quella stessa legna che il papà Pierino, scomparso da poco, aveva fatto in tempo a raccogliere sul Monte Caio, Appennino emiliano. “Da anni non riuscivo a trovare un salmone affumicato di qualità – racconta Claudio a FQ Magazine – così iniziai a trattarlo secondo la mia intuizione. Gli amici apprezzavano”. Al punto che Claudio prende coraggio e parte alla volta delle isole Fær Øer. E’ qui, in questo incontaminato arcipelago danese a metà strada tra Scozia e Islanda, che viene allevato il salmone più buono d’Europa, in acque gelide pressoché prive di diossine e metalli pesanti, senza traccia di antibiotici e coloranti. E’ il Salmo Salar, detto anche salmone dell’Atlantico.
A 60 anni, seguire il proprio sogno “controcorrente”
Claudio ne è certo: affumicato col legno di papà, il salmone delle Fær Øer sarà irresistibile. E aveva ragione. Oggi l’ufficio di Collecchio, dove porta avanti la sua ditta di macchinari per verniciature, è diventato anche il quartier generale di Upstream (in inglese “controcorrente”), la sua nuova azienda di salmone affumicato, pescato settimanalmente alle Fær Øer e lavorato fresco in Irlanda col legno dell’Appennino emiliano, che Claudio raccoglie e spedisce dall’Italia sotto forma di trucioli misti ad alloro.
“Ho un ricordo molto chiaro della fragranza di quel fumo. Mi rievoca un’educazione sana, la vita in montagna, la bellezza della natura e degli affetti” racconta. All’inizio i collaboratori irlandesi non danno credito a quest’ometto dai capelli brizzolati che chiede una marinatura a base di zucchero e sale e un’affumicatura coi legni dell’Appennino. “Dopo che gli ho spiegato l’idea – ricorda Claudio – l’irlandese baffuto mi dice: “Tu sei matto”. “Sì, sono matto, ma tu fallo” gli rispondo. Poi gli è piaciuto. Ho convinto anche gli irlandesi”.
“Erano i momenti più belli della mia vita ma non lo sapevo”
L’esordio sul mercato nazionale avviene nell’ottobre 2013, alla biennale del gusto di Venezia. “Quei momenti sono stati i più belli della mia vita. Ma lì per lì non me ne sono accorto. La paura, l’eccitazione, la freddezza, non so quali altre emozioni, mi hanno un po’ sedato. L’accoglienza è stata fantastica e oggi abbiamo tanti ristoranti di prestigio che servono il nostro prodotto” rivela Claudio. Che al suo fianco in questa avventura ha sempre avuto la sua compagna. “Silvana ci ha creduto fin dal primo momento, è venuta con me in Irlanda la prima volta, era contentissima. Sono tre gli elementi che mi hanno fatto decidere: avere il suo appoggio, avere capito di aver fatto 12 anni di ricerche di mercato senza saperlo, solo per passione, e il fatto che dentro c’è il legno di mio padre”.
Alcuni consigli su come utilizzare la baffa
La baffa, così si chiama il corpo del salmone, ha quattro gusti diversi, a seconda delle parti che la compongono. “La parte anteriore, dolciastra e un po’ più asciutta – raccomanda Cerati – si può usare tradizionalmente con pane e burro. La parte centrale si gusta come una tagliata, anche se la parte superiore, detta dorso, è leggermente diversa da quella inferiore, la ventresca: la prima ha un sapore di burro dolce, nella seconda c’è un ingresso marino. La parte posteriore è ideale per una pasta o una tartare, condita con whisky torbato, pepe e zenzero fresco”.
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