Perchè il Consiglio superiore della magistratura affida la gestione delle proprie risorse a Banca Intesa e non alla Banca d’Italia? E per quale motivo il Csm può contare su una riserva liquida di oltre venti milioni di euro? A chiederselo è il collegio dei revisori dei conti di Palazzo dei Marescialli, guidato da Luigi Gianpaolino, che ha messo nero su bianco questa ed altre perplessità nella relazione al bilancio di assestamento dello stesso Consiglio in procinto di essere approvato dal plenum. Nel mirino un ‘tesoretto’ affidato al colosso che fu di Corrado Passera che gestisce il servizio di cassa del Csm da ben nove anni.
La convenzione, stipulata all’esito di una procedura ad invito, è ora in scadenza. E verrà affidata per i prossimi cinque anni attraverso una gara che però si è rivelata poco attrattiva. I partecipanti? Ancora Banca Intesa che, a quanto pare, dovrà vedersela con un solo avversario, per quel che se ne sa, una banca popolare. Stando alla dimensione economica e al peso dei concorrenti sembrerebbe una partita già chiusa. Quel che è certo è che anche la banca popolare dovrà essere eventualmente in grado di garantire tutte le condizioni del contratto. Compresa quella che prevede il diritto del Csm di aprire conti presso le filiali dell’istituto di credito concessionario del servizio nelle 26 città sedi di Corte d’Appello.
La prima convenzione con Intesa risale al 14 dicembre 2006 quando la banca si chiamava ancora San Paolo Imi: a firmare l’accordo, per il Csm, il segretario generale dell’epoca e cioè l’attuale presidente della commissione Giustizia della Camera, Donatella Ferranti, eletta con il Partito democratico. All’istituto venne affidata oltre la gestione del servizio di cassa anche quella di uno sportello bancario interno, collocato al piano terra (stanza 4) di Palazzo dei Marescialli. Da quella data il contratto triennale tra il Csm e la banca, nel frattempo diventata Intesa SanPaolo, si è rinnovato una prima volta a decorrere da gennaio 2010 e fino al 31 dicembre 2012 e una seconda volta fino alla fine del 2015. Ce la farà Intesa a restare a Palazzo dei Marescialli?
La gara è aperta, ma pesano le perplessità di Gianpaolino. Anzitutto, sull’eccessiva massa di denaro che il Csm si trova per le mani, il famoso “tesoretto“, che imporrebbe a questo punto “una riflessione sulle reali esigenze di cassa del Consiglio”. E non si tratta di una cifra da poco: a fine 2014 la liquidità ammontava a più 29 milioni di euro, che hanno peraltro fruttato appena 100 mila euro di interessi. Pochi, secondo lo stesso Gianpaolino. Ma poi c’è la questione del soggetto chiamato a gestire queste risorse. Per il presidente dei revisori l’affidamento a istituti di credito privati non sembra la soluzione adeguata trattandosi di “liquidità generata da trasferimenti pubblici“. Meglio Bankitalia, perciò, sostiene Gianpaolino, giacché soltanto attraverso il sistema della tesoreria unica le casse statali riescono a “contenere e razionalizzare il fabbisogno monetario pubblico”.