La delibera sulle toghe che assumono altri incarichi è stata approvata: parla anche di un'aspettativa e dell'impossibilità di candidarsi nello stesso luogo dove si svolge l'attività giuridica. Il vicepresidente Legnini: "Vogliamo evitare che sia messa in discussione l'indipendenza della magistratura"
Il Plenum del Csm ha approvato una delibera che punta a dare una stretta a quei magistrati che accedono a cariche politiche o amministrative e poi rientrano in ruolo. Un solo astenuto, il laico di centrosinistra Giuseppe Fanfani. “Vogliamo evitare che l’indipendenza della magistratura possa essere messa in discussione”, ha detto Giovanni Legnini, vicepresidente del Csm.
Su richiesta del togato Aldo Morgigni la delibera è stata classificata come “proposta“, ovvero un atto formale più forte che chiede un impegno al ministro della Giustizia. I punti affrontati sono diversi: un’aspettativa per i magistrati che assumono incarichi politici, la richiesta al Parlamento perché si “impedisca” alla toga di candidarsi a livello locale nello stesso territorio nel quale ha svolto fino a quel momento la carriera giuridica e, infine, l'”imposizione” al magistrato che ha svolto per un periodo prolungato attività politica di rientrare nei ranghi dell’Avvocatura dello Stato e/o della dirigenza pubblica.
“Il tema è stato affrontato – ha detto Giuseppe Fanfani motivando la sua astensione pur condividendo i contenuti della delibera – senza il necessario coraggio“. Ottimista invece Giovanni Legnini: “Dopo 70 anni il Csm dice una parola chiara al legislatore su questa controversa materia” sulla quale “c’è stato il massimo della polemica ed il minimo dell’intervento”. Il vicepresidente del Csm ha sottolineato che con la proposta “chiediamo un intervento normativo non per perseguire un effetto di disfavore all’accesso dei magistrati agli incarichi elettivi”, ma “sia nella fase di accesso che di reingresso vogliamo evitare che l’indipendenza della magistratura possa essere messa in discussione dalla militanza a qualunque titolo. Nessuno da oggi – ha concluso – potrà dire che la commistione impropria tra politica e magistratura dipende dalla volontà di non intervenire dell’organo di autogoverno”.