Cronaca

Francesco Sicignano: la legittima difesa non è licenza di uccidere

Quello che emerge nell’inchiesta che sta ricostruendo la dinamica della notte di sangue nella villetta di Francesco Sicignano a Vaprio D’Adda richiama alla mente per analogia la morte del protagonista di Non essere cattivo, il film di Claudio Caligari ancora nelle sale. Lì, nell’Ostia abbruttita che abbiamo imparato a conoscere il protagonista, un delinquente abituale, balordo, tossicomane e sprovveduto viene freddato mentre fugge con le poche decine di euro rapinate; due notti fa alle porte di Milano un albanese con precedenti penali e con una espulsione bellamente aggirata è stato freddato frontalmente con un colpo al cuore sulle scale della villetta, quando si era presumibilmente arreso. Come l’emarginato irrecuperabile del film postumo di Caligari era, infatti, disarmato e l’oggetto che impugnava era una torcia. All’interno dell’abitazione non si sono trovate tracce di sangue, circostanza che smentirebbe in modo categorico la versione di Francesco Sicignano e che ha indotto i magistrati in quella che per ora è solo un’ipotesi investigativa ad escludere l’eccesso di legittima difesa.

Questa è sommariamente la ricostruzione dei fatti che va inquadrata in un contesto dove i tentativi di furto sono diventati ricorrenti e la diffusione delle armi per “difesa personale” sempre più diffusa.

Il tenore delle dichiarazioni raccolte è univoco: “Chi non l’avrebbe fatto?”, ma anche “doveva uccidere anche gli altri due” riferito ai complici già in fuga grazie ai colpi in aria già sparati. E a rendere molto plasticamente la solidarietà per il pensionato che potrebbe essere accusato di omicidio volontario, ma è bene ricordare che l’imputazione definitiva sarà formulata solo a fine indagine, si è svolta una manifestazione per inneggiare alla licenza di uccidere quando si è minacciati in casa propria.

In casa leghista, c’è anche chi nella veste di sindaco e dopo essere stato deputato europeo ha promesso un bonus per consentire ai cittadini di armarsi. E insieme alle strumentalizzazioni politiche in cui gareggiano Salvini e fratelli d’Italia è arrivata puntuale anche la dichiarazione a caldo del viceministro alla giustizia Costa. In un’intervista a la Stampail “garantista” Costa quando si tratta di Berlusconi e della prescrizione ritiene opportuno “rivedere” la legittima difesa, del tutto incurante di come la previsione dell’art.52 c.p. sia stata oggetto di riforma nel 2006, nel senso di estendere la liceità dell’uso dell’arma legittimamente detenuta quando vi sia “violazione di domicilio”. Ma perché la legittima difesa non si trasformi automaticamente in un far west domestico con conseguenze terrificanti per tutti non si può arretrare dalle precondizioni della inevitabilità dell’uso dell’arma e del principio di proporzionalità tra offesa e difesa, entrambi difficilmente ravvisabili nel caso di Vaprio D’Adda.

Allora far passare mediaticamente, anche per scarsa cognizione della materia, che chi ha sparato per difendersi sia stato iniquamente già accusato di omicidio volontario è piuttosto fuorviante.

Ma molto peggio è la risposta politica di chi inneggia allo sparatore come ad un eroe perseguitato. E altrettanto pericolosa quella istituzionale di un viceministro alla Giustizia che pur dicendo che bisogna “riflettere”, parla a caldo, a sproposito e in gigantesca contraddizione con l’ostentato garantismo impunitario per i potenti finisce per avallare la sete di vendetta che serpeggia tra i troppi cittadini spaventati.

La domanda legittima, a cui lo Stato dovrebbe dare risposta senza ambiguità e senza venir meno a principi di civiltà inderogabili, è perché la vittima con i suoi precedenti e con un provvedimento di espulsione fosse in circolazione e perché, complice anche un distorto concetto di “accoglienza” indiscriminata, ve ne siano molti altri come lui liberamente in circolazione.