Con il linguaggio sobrio e diplomatico che lo contraddistingue e che ha fatto la fortuna di Maurizio Crozza, il governatore Pd della Campania Vincenzo De Luca ha definito “penoso” oltre che “propagandistico” il tentativo “di fare confusione tra le due vicende” quasi a prendere le distanze dalla sentenza della Consulta sul caso de Magistris che ha respinto uno, e uno solo, dei dubbi di costituzionalità: il presunto carattere sanzionatorio della sospensione dalla carica, e la conseguente non retroattività. “Sono ben più numerosi e di diverso spessore giuridico i rilievi di costituzionalità che la Corte sarà chiamata a valutare su remissione del Tribunale civile di Napoli nella diversa vicenda che mi riguarda. La Consulta ne ha bocciato solo uno, peraltro non tra i più rilevanti”.
Ma è davvero così? Proviamo a spiegare per i non addetti ai lavori come stanno le cose. In cosa ha ragione De Luca. Ed in cosa invece potrebbe avere torto. E perché, a dispetto dell’ostentazione di sicurezza, la pronuncia di ieri potrebbe essere l’inizio della fine per il presidente della Campania, che rischia lo stop and go per 18 mesi o meno, se riuscisse a farsi assolvere in secondo grado dalla condanna per abuso d’ufficio. Ora per lui scatta una corsa contro il tempo, tra giudizio civile, appello penale e decisione della Consulta che nel suo caso non è stata ancora fissata e chissà quando lo sarà.
De Luca resta in carica
Scrive l’ufficio stampa della Regione Campania: “Fino alla pronuncia della Corte Costituzionale sul suo specifico caso, il Presidente De Luca continuerà ad esercitare regolarmente e legittimamente le sue funzioni”. E’ vero. Detto questo, la tempistica della Corte Costituzionale è un punto interrogativo avvolto in un enigma. De Magistris ha ottenuto udienza un anno dopo la concessione della sospensiva. De Luca ha ottenuto la sospensiva a luglio. I tempi di Roma dipendono anche dalla celerità della trasmissione degli atti da parte del Tribunale Civile di Napoli, presso il quale pende il giudizio di merito sul ricorso del presidente della Campania. Giudizio che non è stato sospeso, ma è andato regolarmente avanti dopo il 22 luglio, la data in cui i giudici hanno accolto alcune considerazioni dei legali del Governatore, Antonio Brancaccio e Lorenzo Lentini, e hanno sollevato i dubbi di costituzionalità di quattro parti della Legge Severino. Tre in più del caso de Magistris.
Il diverso spessore giuridico del ricorso di De Luca
Opinabile. C’è chi la pensa diversamente e sostiene che, una volta cassato il dubbio sulla irretroattività della Severino, il Governatore non ha speranze. L’avvocato costituzionalista Gianluigi Pellegrino, legale del Movimento Difesa del Cittadino che si è costituito in giudizio contro de Magistris e De Luca, in un’intervista a “Il Fatto Quotidiano” afferma: “Gli altri motivi di ricorso di De Luca sono dichiaratamente accessori e ancora più infondati. La decisione di ieri è quindi un ‘avviso di sfratto’ anche per l’ex sindaco di Salerno”. De Luca lamenta la presunta incostituzionalità della disparità di trattamento tra consiglieri regionali e parlamentari, e lo sconfinamento del decreto legislativo del governo rispetto alla legge delega del parlamento. Secondo Pellegrino “ci sono precedenti della Consulta che ha già chiaramente sancito la possibilità per il legislatore di differenziare i trattamenti, considerando che i consiglieri regionali hanno anche funzioni amministrative. L’altro motivo è il più sorprendente: i giudici di Napoli hanno ritenuto che la legge avrebbe imposto al governo l’abolizione dell’istituto della sospensione. È evidentemente fuori dalla logica attribuire al Parlamento che emana una legge anticorruzione la volontà di fare mille passi indietro rispetto a un istituto che esiste dal 1990”. De Luca poi ha ragione quando sottolinea le differenze con de Magistris, ma queste differenze non gli sono tutte favorevoli. De Magistris si è candidato a sindaco di Napoli nel 2011, quando la Severino non era in vigore. De Luca si è candidato a Governatore, assecondato dal Pd, consapevoli della legge e della sospensione a cui sarebbe andato incontro.
La clessidra di De Luca
Torna a scendere la sabbia, e non ce n’è molta. La Consulta non potrà tardare la fissazione dell’udienza, per l’evidente interesse pubblico di un ricorso che non riguarda solo De Luca, ma molti altri politici e amministratori locali nelle sue condizioni. Il Tribunale Civile di Napoli potrebbe emettere una sentenza nell’udienza del 20 novembre, ma difficilmente si azzarderà a farlo in assenza di una pronuncia della Corte. De Luca ha un’altra strada per risolvere i suoi guai: farsi assolvere dalla Corte di Appello di Salerno prima che la Consulta affronti il suo caso. La prima delle tre udienze è fissata per l’11 dicembre. La Procura però non è sazia della condanna per abuso d’ufficio, e ha depositato un ricorso per chiedere che il reato – la nomina illegittima del project manager del termovalorizzatore di Salerno datata 18 febbraio 2008 – venga riqualificato in peculato. Ed in quel caso non ci sarebbe scampo: De Luca verrebbe sospeso per effetto della legge 267/2000, il testo unico delle pubbliche amministrazioni, applicato centinaia di volte, in vigore sia al momento del reato che della candidatura.