In meno di tre anni ha nominato 37 diversi assessori regionali, in pratica più di uno per ogni mese trascorso al governo. Un vero e proprio record, da far impallidire i tempi di Raffaele Lombardo (all’epoca ribattezzato “Arraffaele”) e che adesso il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta ha intenzione di perfezionare ulteriormente. L’ex sindaco di Gela, infatti, è pronto ad un nuovo rimpasto di giunta (il terzo), una mossa propedeutica al varo del suo quarto governo, quando dalle elezioni sono trascorsi esattamente 36 mesi.
“La giunta è tutta azzerata politicamente”, ha confermato Crocetta nelle ultime ore, spiegando di non aver “ancora ritirato le deleghe perché sto verificando gli impegni istituzionali degli assessori per non compromettere l’attività amministrativa. Entro sabato voglio formare il nuovo governo”. Curiosamente, quindi, per i prossimi giorni gli assessori continueranno a lavorare pur sapendo di essere già stati “licenziati” dal governatore. “Oggi stesso incontrerò Raciti (segretario siciliano del Pd, ndr) e a seguire incontrerò i segretari degli altri partiti”, spiega sempre il presidente. Che lavora al rimpasto dopo aver visto le sue più reclamizzate riforme bloccate dal Consiglio dei ministri. L’ultima è la legge sull’acqua pubblica, approvata dall’Assemblea regionale siciliana quest’estate (a 4 anni dal referendum), ma impugnata dal governo centrale.
“Numerose disposizioni contrastano con le norme statali di riforma economico sociale in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell’ambiente, spesso di derivazione comunitaria, eccedendo in tal modo dai limiti posti alle competenze regionali”, spiegava in una nota il Cdm. A settembre, invece, era toccato alla nuova normativa sugli appalti pubblici ricevere una sonora bocciatura da parte di Roma.
Più imbarazzante il caso dell’impugnativa da parte di Palazzo Chigi della riforma preferita da Crocetta: quella sull’abolizione delle province. Nata ai tempi del cosiddetto “modello Sicilia”, quando il governatore dialogava con i deputati del Movimento 5 Stelle, annunciata in diretta televisiva da Massimo Giletti, approvata dopo due anni e mezzo di dibattito parlamentare, la legge per cancellare gli enti intermedi si è infranta davanti alla sonora bocciatura di Roma. Il motivo? “Talune disposizioni – spiegava il Cdm – sono in contrasto con la legge 56/2014 (Legge Delrio), quale legge di grande riforma economica e sociale”.
L’Ars, dunque si è dovuta nuovamente mettere in moto a tappe forzate per cestinare la norma voluta dal governatore e recepire immediatamente la legge Delrio. Crocetta nel frattempo si è trovato costretto ad annullare le elezioni per i presidenti dei liberi consorzi, già messe in calendario e adesso quasi completamente inutili. “Non ha senso fare riforme se si sa in partenza che quelle riforme poggiano su presupposti sbagliati”, tuonava il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone, dopo l’ennesima bocciatura romana. “Il governo regionale – replicava invece Crocetta – sulla base del confronto già avviato con il governo nazionale, convocherà immediatamente la commissione parlamentare, l’assessore competente e l’ufficio legislativo e legale della Regione, per valutare insieme gli atti necessari da compiere per superare il problema”. Solo che nel frattempo il governatore ha deciso di azzerare nuovamente la giunta, capace di incassare tre impugnative consecutive su altrettante leggi in appena un mese.
E in attesa di capire chi farà parte del nuovo governo, la maggioranza si è arricchita di un nuovo gruppo parlamentare: si chiama Sicilia Futura e a crearla è stato Totò Cardinale, ex ministro di Massimo D’Alema, ancora oggi dirigente formale del Pd (la figlia Daniela ha ricevuto in eredità lo scranno da deputata), ma ispiratore seriale di movimenti e gruppi in sostegno del presidente. “Il nostro sforzo – spiega questa volta l’ex ministro – è mettere insieme esperienze diverse che guardano a Renzi”. Tra queste “esperienze diverse” anche Michele Cimino, ex enfant prodige di Forza Italia e “gemello” di Angelino Alfano, poi braccio destro di Gianfranco Miccichè, adesso evidentemente fulminato sulla via della Leopolda.