Un’azienda che fattura 380 milioni di euro all’anno, 1.500 dipendenti che completano un tratto dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria addirittura in anticipo e il suo amministratore delegato che denuncia la ‘ndrangheta alle forze dell’ordine. Fino a poche ore fa era il ritratto lucido della Tecnis Spa, una delle “rarissime grandi aziende del Sud” , come la definì Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, fondata da una coppia imprenditori rampanti: si chiamano Francesco Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice, due di quelli che avevano fatto della legalità la bandiera della propria attività imprenditoriale.

Una bandiera finita – per il momento – ammainata dato che ci sono anche Costanzo e Lo Giudice tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare per corruzione emessa nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti Anas. “Una deprimente quotidianità della corruzione”, l’ha definita il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone. E adesso a rischio ci sono i cantieri della Tecnis: si va dai 40 milioni per l’interporto di Catania, ai 100 milioni per l’anello ferroviario di Palermo, dallo scalo di Ragusa fino ai 140 milioni dell’ospedale San Marco, nel quartiere etneo di Librino, per citare solo le ultime gare vinte dalla società siciliana. “Basta piangersi addosso e proiettare analisi o stime poco attendibili: il Sud ha le potenzialità di ripartire soprattutto grazie ai giovani, alle loro idee”, pontificava Costanzo dalle pagine del Foglio, che nell’agosto scorso gli dedicava un ritratto candido.

Nato 53 anni fa a Catania, erede di una famiglia di imprenditori attiva da tre generazioni nel settore dell’energia, Costanzo fa parte della generazione dei giovani capitani di ventura siciliani che nell’ultimo decennio ha conquistato pagine di giornali e posizioni influenti annunciando la via della legalità come risposta a decenni di malaffare economico. Notato già nel 1993 dal sindaco etneo Enzo Bianco, che lo nomina assessore, Costanzo aderisce poi alla nidiata d’imprenditori che seguono Ivan Lo Bello e Antonello Montante nella scalata a Confindustria sotto il vessillo dell’antimafia. Non è un caso infatti che lo stesso Costanzo è sempre stato tra i papabili dirigenti di Confindustria catanese.

E d’altra parte, anche il patron della Tecnis ha nel curriculum serate antimafia in cui ricordava il giornalista Pippo Fava e denunce contro il racket. Come nel 2013, quando la procura di Reggio Calabria porta a processo cinque affiliati alla ‘ndrangheta, che erano andati a chiedere la “messa a posto” ai cantieri di Costanzo sulla statale 106, quella che collega Reggio con Melito Porto Salvo. “Denunciare – diceva l’imprenditore – dev’essere la normalità delle cose: una normalità che serve a far crescere le nostre stesse aziende secondo quella che è la strada tracciata da Lo Bello e Montante”.

Ma non solo. Al mensile I Love Sicilia Costanzo spiegava anche che “la legalità per un imprenditore è responsabilità sociale e dovere morale. Io non sono solo perché ormai da un decennio gli imprenditore siciliani hanno avviato un processo di rinnovamento che non è più possibile fermare”. Poi, piano piano, il rinnovamento ha cominciato ad incepparsi da solo, quando i massimi esponenti dell’antimafia imprenditoriale sono finiti a loro volta al centro di inchieste delicatissime.

Il primo è Montante, indagato dalla procura di Caltanissetta per concorso esterno a Cosa nostra. Poi tocca al presidente della Camera di commercio di Palermo Roberto Helg, altro primattore della rivolta anti racket siciliana, beccato mentre intascava una mazzetta da 100mila euro. Quindi è il turno di Salvo Ferlito, dimessosi da presidente di Ance Sicilia (l’associazione dei costruttori edili di Confindustria) dopo una condanna a tre anni per truffa. Oggi tocca a Costanzo allungare la lista degli imprenditori colpiti da accuse gravissime dopo aver fatto della legalità un sicuro vessillo di successo. Un contraddizione gigantesca che nell’isola del paradosso è ormai diventata semplicissima cronaca.

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