In condizioni di crisi, l’anello debole della catena è quello che subisce le conseguenze più devastanti. La situazione dei docenti italiani, recentemente beneficiati di un obolo annuale per la formazione e l’aggiornamento (quelli che una buona parte di loro ha sempre svolto a proprie spese) ma – contemporaneamente – raggiunti dalla umiliante notizia che l’imminente legge di Stabilità (ancora in bozza) prevede solo 200 milioni di euro, come sostengono varie fonti sindacali scolastiche, per il rinnovo del contratto nel pubblico impiego, vacante dal 2009, e oggetto di una pronuncia della Corte Costituzionale (c’è chi dice 4 caffè ciascuno al mese in più, c’è chi dice una pizza; la sostanza non cambia, si tratterebbe di un aumento di 7 euro a lavoratore) sembrano colti da un devastante senso di disorientamento a pochissimi mesi da uno dei più clamorosi periodi di mobilitazione della storia della scuola italiana. Un ulteriore inciso: sarebbe prevista una quota fissa – non quantificata – destinata alle Forze dell’ordine: i caffè diventano 1 al mese, la pizza mezza.
Ma il costume italico, si sa, ci ha abituati a ben più gravi atti di acquiescenza: senza scomodare la storia con la S maiuscola, basti pensare all’incuria o al plauso pseudo-modernista con cui si è assistito e si sta assistendo allo scempio della Costituzione italiana, alla dismissione dei diritti del lavoro, del diritto alla partecipazione e alla rappresentanza democratica.
Gratitudine per la carità pelosa o inerzia e rassegnazione, lo stato delle cose oggi – a poco tempo dalla resistenza organizzata contro l’approvazione della 107 – potrebbe far intendere che Renzi e Giannini avessero ragione: alla fine i docenti italiani si accorgeranno che la Buona Scuola è davvero una buona scuola. Not in my name e nemmeno nel nome di tanti altri – come me – che continuano a considerare odiosi nel metodo e nel merito principi, orientamento, contenuti e procedure della 107, disponendosi quotidianamente a spendere tutte le energie possibili per dare un senso – nella mobilitazione, sul piano del contenzioso, nel più ampio contesto referendario, sulla base di un progetto di scuola alternativo – ad una imposizione che peraltro configura a tratti aspetti di incostituzionalità.
Il 13 novembre Cobas ed Unicobas hanno indetto uno sciopero della scuola, fortemente voluto e richiesto da una parte di noi, sul quale avremmo desiderato una ampia convergenza degli altri sindacati di comparto, sul modello di quello del 5 maggio. Ma, evidentemente, condizioni ed opportunità sono mutate e, così come l’avversione alla 107 sta virando da parte dei maggiori sindacati verso il tema contrattuale, così si vocifera di un conseguente accordo su uno sciopero del pubblico impiego che, secondo molti, rischierebbe di appannare ed annacquare la lotta alla 107 e la specificità dei problemi della scuola.
Sabato prossimo, intanto, manifestazioni regionali unitarie dei 5 sindacati dello sciopero del 5 maggio – con Cobas a Roma e Cagliari – che potrebbero però non costituire un segnale sufficientemente forte per una scuola che annaspa (e mugugna il proprio disagio) tra le spire di una legge autoritaria e scritta male, che certamente – come è stato già annunciato – darà luogo a cascate di contenzioso.
Ma torniamo, per un attimo, all’anello debole. Non è un caso che in questo caos viscoso la infinita questione dei docenti inidonei non trovi ancora una propria concreta soluzione. Vittime della gloriosa “razionalizzazione e semplificazione” che muove da tempo ormai tutte le operazioni relative al personale della scuola, si tratta di 3500 docenti affetti da malattie invalidanti, non più in grado di svolgere attività didattica in classe. Ne conosco almeno 3-4: passano da un’operazione all’altra, chi per tumori e recidive frequenti o trattamenti chemio continui, chi per patologie cardiache. Non si tratta di uno scherzo: potrebbe accadere a ciascuno di noi, nessuno escluso. Con atto autoritativo il Miur ne cambiò il profilo professionale nel 2013, definendone il transito definitivo ed obbligatorio tra il personale Ata (amministrativo-tecnico-ausiliario). Che però, a cominciare dalla riforma Gelmini, fino all’ultima legge di Stabilità, che ne ha previsto il taglio di oltre 2mila unità, è vittima in questo periodo di una precarizzazione insostenibile, di tagli di organico, dell’esternalizzazione dei servizi, di divieto di sostituzione anche durante lunghi periodi di assenza.
Il punto è che tra un anno, dall’1 settembre 2016, si prevede che gli inidonei – ora destinati a funzione di bibliotecari o genericamente a mansioni di supporto all’attività didattica – vengano passati ad altro compito nella mobilità intercompartimentale; il che significa, in sostanza, lasciare – da persone patologicamente segnate – le proprie mansioni e la propria sede e finire anche a molti chilometri di distanza. I Cobas, da sempre impegnati in questa battaglia, anche in sede di audizioni per l’allora ddl la Buona Scuola, oggi 107/15, lanciarono una proposta al governo: nel momento in cui si avrà il cosiddetto “organico potenziato” (la fase C delle assunzioni) che, a parte tappare i buchi per coprire le assenze dei titolari, dovrebbe avere mansioni legate al potenziamento dell’offerta formativa dell’istituto, scelto dal dirigente con contratto triennale, è evidente che gli inidonei potrebbero aver costituito – e quindi essere considerati – un organico potenziato ante litteram, facendo decadere le motivazioni di “risparmio” che dovrebbero comportare la mobilità intercompartimentale. Naturalmente tali argomentazioni – troppo poco significative dal punto di vista di una logica di produttivismo aziendalistico e destinate a beneficiare una platea troppo ridotta per costituire un obiettivo appetibile per un governo demagogicamente in cerca di consenso – non sono state ascoltate e gli inidonei sono stati lasciati soli, con la loro stanchezza e il loro malessere. Come i “Quota 96”, vittime di una “svista” della Fornero, costretti a prolungare la propria permanenza in servizio di 5-6 anni oltre il dovuto.
Altri 2 ottimi motivi per non distrarsi e tenere la barra dritta sulla scuola. Con la convinzione, ancora una volta, che questo non è più un Paese attento ai diritti e alla qualità della vita dei suoi cittadini. E con il timore che l’anello debole, nelle più tipiche condizioni del mercato capitalistico, sia destinato a soccombere.