A Melbourne vivo in una casa vicino alla spiaggia, lungo una via – chiamata appunto Beach Road – che costeggia il mare. Vi sono vari parcheggi pubblici in zona, a pagamento per i non residenti e totalmente gratuiti per i residenti. I residenti si devono recare in Comune a ritirare un tagliandino che, esposto sul parabrezza, conferisce al titolare pieno diritto di parcheggiare senza dover sborsare un centesimo.
L’altro giorno mi sono recato in Comune per ritirare l’agognato tagliando e, da buon prodotto della cultura italica, mi sono portato dietro montagne di carta e documenti per comprovare la mia residenza, la proprietà delle due auto che possediamo in famiglia etc… Ero pronto a riempire la scrivania del solerte funzionario comunale con tutte le mie cartacce e mi sono avvicinato all’ufficio con animo pugnace, pronto alla battaglia. Con mia grande sorpresa, quando ho spiegato il motivo per cui ero lì, colui che già consideravo un mio acerrimo nemico mi ha sorriso, mi chiesto dove abitassi e, a mia risposta, ha tirato fuori dal cassetto due tagliandi, me li ha consegnati e mi ha congedato augurandomi buona giornata. Cosaaaaaaaaaaa? Niente documenti, niente prove, niente controlli? Ma siamo impazziti? Che mondo è questo?
Tornando a casa riflettevo sul fatto che lo Stato si può permettere di comportarsi in questo modo perché, salvo rare eccezioni, il cittadino qui non frega né mente. Vi è un legame di fiducia tra le persone ed il servizio pubblico grazie al quale entrambi contribuiscono allo sviluppo della nazione, invece di guardarsi in cagnesco cercando di ostacolarsi a vicenda e pugnalarsi alle spalle.
E’ un piacere, credetemi, vivere in un Paese dove vige la presunzione di innocenza nei confronti dello Stato e dove si parte dal presupposto che la relazione coi cittadini sia governata da fiducia e trasparenza. Uno Stato meno invadente, che occupa il minor spazio possibile e fornisce i servizi essenziali con efficienza e celerità, è quanto predicano coloro che credono nel concetto di “meno Stato e più società”. E difficilmente qualcuno potrebbe obiettare a tale concetto, in teoria.
L’elemento curioso, tuttavia, è che i ferventi sostenitori del concetto di “meno Stato” si trovano soprattutto all’interno dei partiti liberali di destra, che sovente sono quelli più frequentemente coinvolti in scandali di corruzione. E’ una contraddizione in termini: lo Stato può battere in ritirata e diventare più leggero solo nel momento in cui ha la sensazione di poter allentare i controlli, perché i cittadini si comportano più onestamente e vi è minor bisogno di uno Stato poliziotto. Ma fino a quando la cultura dominante sarà quella di fregare lo Stato, qualunque velleità di “meno Stato” è destinata ad essere delusa, in quanto purtroppo la funzione di controllo e di verifica sarà sempre dominante in un Paese, come l’Italia, dove la corruzione continua ad essere dilagante, come documentato dalle ultime vicende.
Ed è davvero un peccato, in quanto il prezzo finale ricade sulle spalle dei tanti cittadini onesti che si trovano oberati da insopportabili obblighi burocratici, dovendo combattere giornalmente per dimostrare la propria innocenza. Con un dispendio di tempo e risorse pubbliche, per garantire i controlli, che potrebbero essere altrimenti impiegate in mille attività più produttive.