La voce gira. Ci sarebbe una scarna deposizione e un ben più ampio memoriale in cui Pasquale Scotti ammetterebbe di non aver agito solo per conto del boss Raffaele Cutolo. Lo spietato killer della Nco, in un periodo appena successivo la liberazione dell’ex assessore Ciro Cirillo, avrebbe portato a termine “missioni” per non specificate entità coinvolte – a vario titolo – nell’ampia trattativa per salvare la vita dell’ex esponente del partito di Giulio Andreotti.
Altre attività – lo stesso Scotti – le avrebbe svolte da latitante: “Ero a disposizione, prendevo ordini” avrebbe risposto. Scotti ha già confidato come la sua evasione – la notte di Natale del 1984 – dall’ospedale civile di Caserta non fu improvvisa ma preparata : “I carabinieri mi lasciarono la serratura della cella aperta”. Sono accadimenti lontani, di oltre 30 anni fa, e sono in tanti ad aver paura e temere i racconti dell’ex latitante. In attesa della pubblicazione della sentenza di estradizione e quindi della sua esecuzione entro 20 giorni c’è da registrare una presa di posizione del ministero della Giustizia che smentisce la notizia sul presunto scambio – svelata dal Fattoquotidiano.it e ripresa anche da testate brasiliane – tra l’ex banchiere italo-brasiliano Henrique Pizzolato, condannato a 12 anni e 7 mesi di carcere nell’inchiesta “Mensalao”, da estradare dall’Italia al Brasile e di Scotti da ricondurre dal Brasile all’Italia. Nella nota si sottolinea che il ministro Orlando firmò l’estradizione di Pizzolato il 23 aprile mentre Scotti è stato acciuffato, dopo 31 anni di latitanza, solo un mese dopo ovvero il 26 maggio a Recife. Quindi pochi giorni fa, il 21 ottobre, il Supremo tribunal federal brasiliano, ha sancito l’estradizione dell’ex primula rossa in Italia.
Nella logica degli avvenimenti, scanditi da date e atti la nota dei funzionari del dicastero di via Arenula, non fa una piega. Occore però stare attenti. Osservare la filigrana dei fatti. Partiamo da un primo punto. L’improvvisa cattura di Pasquale Scotti è anomala.
Erano anni che diversi pool di investigatori e segugi gli davano la caccia. Indagini non sempre chiare e limpide. Quando si aveva la sensazione di stargli con il fiato sul collo, un ordine superiore e perentorio sanciva un improvviso avvicendamento degli investigatori. Insomma, si ricominciava quasi da zero. Ci sono agenti in pensione e consegnati al silenzio che confidano : “Lo Stato era informato degli spostamenti di Scotti”.
E’ la solita storia di depistaggi, protezioni e coperture. Qualcuno si muove, qualcosa accade. Un funzionario dello Sco italiano nel corso di un’altra inchiesta “casualmente” osserva delle foto e da un ruga sulla fronte riconosce Scotti, preso.
Le indagini accertano o meglio accerterebbero che Scotti ha vissuto sempre a Recife. Dubbi, perplessità e verosimiglianze. Curioso un fatto – in molti – a Recife non conoscono Scotti. E’ pur vero, se una persona vive 31 anni in un posto anche se introverso, riservato e con un brutto caratteraccio qualche conoscente, amico pure l’avrà. Niente. Le anomalie non sono finite, anzi. C’è quella più clamorosa e interessante.
Quando Scotti è stato acciuffato dalle forze dell’ordine mostra in visione un documento di riconoscimento falso che riporta il nome di Francisco Vitale Visconti. Un’identità di comodo e di copertura. Insomma Scotti si spacciava per un’altra persona. Nel codice penale brasiliano è un reato. La legge è chiara. Non ci sono attenuanti. La pena può arrivare fino a due anni di reclusione.
Mi chiedo : perchè il magistrato brasiliano non ha proceduto d’ufficio alla contestazione del reato? Perchè Scotti non è finito davanti ai giudici ordinari per aver affermato di essere Francisco Vitale Visconti ? Scotti – in caso di condanna – avrebbe dovuto scontare prima i due anni di carcere in Brasile e poi tornare in Italia con l’estradizione. Un contrattempo forse che occorreva evitare. Le autorità brasiliane – si potrebbe ipotizzare – avevano preso impegni precisi: non volevano intralciare l’operazione Pizzolato-Scotti? Forse.