Linux, il sistema operativo lanciato dal finlandese Linus Torvalds nel 1991, ormai è ovunque. “Nei server di internet”, spiega Federico Capoano, sviluppatore open source, al Linux Day di Roma organizzato dall’associazione Roma2LUG, “sugli smartphone Android, e con l’internet delle cose perfino in lavatrici e frigoriferi”. Torvalds condivise il kernel (il cuore del sistema operativo) per consentire ad altri programmatori di usarlo e migliorarlo. Poteva diventare ricco. Decise invece di rinunciare al copyright. Linux sarebbe così diventato un bene pubblico, grazie alla licenza GPL messa a punto dal precursore Richard Stallman. Chiunque può copiare, modificare e condividere Linux: a patto di consentire agli altri di fare lo stesso. Il codice sorgente, infatti, è rimasto aperto. “E’ questa la filosofia open source”, continua Capoano. “Se devo risolvere un problema, condivido la mia soluzione perché altri possano migliorarla”. Quando Torvalds donò Linux alla comunità, tuttavia, non immaginava di alimentare un business miliardario. A ben guardare, si tratta ormai di un vero e proprio matrimonio d’interesse, quello tra affari e open source. Alle comunità che implementano il software arrivano investimenti direttamente dalle aziende. Che dispongono così di un sistema operativo efficiente e pronto all’uso. “Impiegherebbero anni e una montagna di soldi per creare da zero un nuovo sistema operativo, partecipare all’evoluzione dell’open source è un vero affare”. Solo per fare un esempio, la Red Hat, prima azienda open source al mondo, viaggia verso un fatturato da due miliardi l’anno.Nel business del software, brevetti e diritti proprietari non sono più una necessità di Paolo Dimalio, riprese Paolo Dimalio e Samuele Orini
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