Suvvia, cosa vi aspettavate dal Sinodo?
A quanto è dato capire, i fan più sfegatati di papa Bergoglio, presunto Simon Bolivar di una rivoluzione ecclesiastica che travalichi le Ande per giungere fino alla Roma appiccicosa al soffio dello scirocchetto, manifestavano delusione già prima che il summit porporato concludesse i propri lavori. Figuriamoci ora, dopo che la montagna ha partorito il sorcetto ponziopiltasco della comunione ai divorziati risposati, sottoposta a tagliando presso l’officina parrocchiale. Mentre per le questioni più spinose e divisive il dribbling è stato all’altezza dei migliori assi cresciuti sul Rio de la Plata: da Omar Sivori a Leo Messi.
Stupiti? Bastava soltanto informarsi un po’. Così si sarebbe potuto appurare che nella conferenza del clero latinoamericano, tenutasi nel 2007 ad Apareicida, proprio Bergoglio fece ribadire nel documento conclusivo la condanna di ogni forma di eutanasia, nonché il rifiuto della somministrazione dei sacramenti ai divorziati e alle donne che abbiano abortito. Del resto sono ben note le sue polemiche con il governo argentino quando la Casa Rosada promosse distribuzioni gratuite di contraccettivi. Per non parlare delle scelte in materia di matrimonio omosessuale della presidente Cristina Fernàndez de Kirchner. A tale proposito, nel 2010 Bergoglio inviò una lettera alle Suore Carmelitane di Buenos Aires scrivendo che «Il popolo argentino dovrà affrontare, nelle prossime settimane, una situazione il cui esito può ferire gravemente la famiglia. Si tratta del disegno di legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. […] È in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo, privandoli della maturazione umana che Dio ha voluto che si desse con un padre e una madre. È in gioco un rigetto frontale della legge di Dio, per di più incisa nei nostri cuori. […] Non siamo ingenui: non si tratta di una semplice lotta politica; […] bensì di una mossa del Padre della Menzogna che pretende di confondere e ingannare i figli di Dio».
Visto che neppure noi siamo ingenui, comprendiamo bene che il formidabile comunicatore asceso al soglio di Pietro è innanzi tutto un gesuita; ossia appartiene a un ordine abituato a presidiare le estreme frontiere del territorio ecclesiastico, con tutte le ambiguità che il compito comporta. Ma sempre per servire gli interessi profondi dell’Istituzione-Chiesa e le sue strategie di sopravvivenza. Un po’ come i suoi predecessori in Paraguay, quando addomesticavano i bellicosi indios Guaranì confinandoli nelle reducciones (i falansteri comunitari creati dall’Ordine) e spianando così la strada alla schiavistica colonizzazione spagnola e portoghese.
Nello stesso spirito oggi papa Bergoglio – a differenza dei cardinali di curia, torpidi tendenti all’ottuso– ha ben chiaro che la Chiesa si salva solo grazie a un profondo restyling e un nuovo posizionamento di mercato. Ossia cambiando il focus dall’ossessione voyeuristica sui comportamenti sessuali e le scelte biografiche per concentrarsi sulle problematiche della miseria. Di conseguenza, predisponendo la migrazione missionaria dalle aree di un Primo Mondo ormai irrimediabilmente secolarizzato verso i più promettenti territori del Terzo e Quarto Mondo.
Ma c’è un punto da cui il defensor fidei perinde ac cadaver non può deflettere, pena il far crollare l’intera impalcatura che presiede: la difesa dell’ordine gerarchico-patriarcale, di cui la famiglia eterosessuale finalizzata alla riproduzione è la pietra angolare; in questa fase storica sotto minaccia della sfida portatagli dal femminile e dall’omosessuale. Un ordine in evidente declino ma da cui la Chiesa omofoba (nonostante la diffusa omosessualità nei suoi vertici) e discriminatrice delle donne non è in grado di prescindere; proprio per non mettere a repentaglio la sua essenza gerarchica. Difatti sarebbe ora di capire che la vera natura di papa Francesco è quella di un restauratore tendente al gattopardesco, non di un rivoluzionario. Nonostante i fraintendimenti del fronte conservatore che gli si oppone. Autolesionisticamente.