In Basilicata una società ha vinto il ricorso al Tar contro lo stop a un progetto di ricerca di idrocarburi. L'ente non si arrende e contesta altri permessi, mentre si muovono anche Abruzzo e Veneto. Ma la riforma costituzionale che attribuisce competenza esclusiva sull'energia allo Stato spunta le armi dei governatori
Aspettando il referendum contro lo “sblocca trivelle”, continua su più fronti e in più sedi lo scontro sull’estrazione di petrolio e gas nei territori nostrani. Davanti alla giustizia amministrativa, in Parlamento e nelle sedi regionali. Con le compagnie petrolifere che prendono forza e ottengono sempre più permessi di ricerca e le Regioni che sono sulle barricate e approvano provvedimenti ad hoc per limitare la possibilità di cercare idrocarburi nelle loro terre. E il futuro non sembra più roseo: secondo gli ambientalisti “siamo solo all’inizio”.
Da annotare innanzitutto la vittoria della società Rockhopper nel ricorso al Tar della Basilicata contro lo stop della Regione al progetto di ricerca di idrocarburi “Masseria La Rocca”. La società aveva chiesto la proroga dell’esclusione dalla Via concessa nel 2009 per il permesso di ricerca e la giunta lucana aveva rifiutato. Il tribunale ha ora stabilito che a decidere se la compagnia potrà proseguire i lavori sarà il ministero dell’Ambiente. La Regione dovrà quindi inviare tutti gli atti al ministero, proprio sulla base di quanto stabilito dall’articolo 38 dello Sblocca Italia (il cosiddetto “sblocca trivelle”) che accentra dai territori a Roma il potere di rilasciare le autorizzazioni per le nuove attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi.
Sconfitta su questo fronte, la Basilicata non demorde e continua la sua battaglia contro il proliferare di nuovi pozzi di oro nero. In questi giorni si è rivolta al Tar per un’altra storia: contro i recenti decreti del ministero dell’Ambiente di valutazione d’impatto ambientale positiva per due istanze di Shell Italia per altrettanti permessi di ricerca di idrocarburi al largo delle coste lucane e calabresi. La Giunta regionale, si legge in una nota, “ha dato mandato al proprio ufficio legale di produrre ricorso al Tar contro le autorizzazioni concesse alla società Shell per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi nel mar Jonio”. Soddisfatta Legambiente Basilicata, che però chiede di più a tutte le amministrazioni regionali: “Si impegnino per chiedere fin da subito una moratoria che blocchi qualsiasi autorizzazione relativa alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi”. Perché “le conseguenze dello Sblocca Italia sarebbero appena cominciate, consentendo di fare a terra quello che sta valendo per il mare, ovvero togliere ruolo e potere vincolante agli enti locali”.
Su questa strada stanno effettivamente cercando di muoversi alcune Regioni. Il consiglio regionale abruzzese ha approvato all’unanimità una legge che estende il limite delle 12 miglia introdotto nel 2012, entro il quale le attività di ricerca sono vietate, ai progetti che erano stati fatti salvi perché già in itinere. L’estensione del divieto è uno degli obiettivi dei quesiti referendari all’esame della Cassazione. Tra i progetti interessati c’è Ombrina Mare di Rockhopper, sulle coste abruzzesi, da anni nel mirino dell’opposizione locale. “Restituire il divieto di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi entro le 12 miglia dalla linea di costa ci consente di proseguire nella nostra strategia che si è concretizzata con la presentazione del referendum”, ha commentato l’assessore all’Ambiente Mario Mazzocca. In Veneto, invece, la commissione Ambiente ha approvato il progetto di legge del consigliere Pd Graziano Azzalin che mira a escludere ogni tipo di ricerca di idrocarburi nell’area del Parco del Delta del Po.
Dal canto suo il governo Renzi non arretra di un passo e prosegue la sua corsa verso lo sblocco dei pozzi di petrolio e gas della Penisola. Anche perché, ha detto a Il Mattino il direttore generale per le Risorse minerarie ed energetiche del ministero dello Sviluppo economico Franco Terlizzese, nel caso i referendum siano dichiarati ammissibili il rischio è quello di “un ritorno a un sistema di produzione di gas e petrolio degli anni ’90”. Insomma, secondo Terlizzese si potrebbe andare verso una paralisi del settore.
L’esecutivo è comunque ora forte della riforma del Titolo V della Costituzione votata in Senato nei giorni scorsi, che tra le altre cose prevede il ritorno alla competenza esclusiva dello Stato in materia di energia e toglie ogni potere alle Regioni. I proponenti del referendum si appellavano proprio al Titolo V, nella sua versione originale, per vincere la loro causa. La strada è però lunga e tutto è ancora da vedere. Il provvedimento deve infatti tornare a Montecitorio e attendere sei mesi prima di essere sottoposto nuovamente all’approvazione delle due Camere. Dopo sarà sottoposto al referendum popolare e al giudizio della Corte Costituzionale.