Le clausole di flessibilità sul deficit e l’incognita Bruxelles – La vera incognita della partita sono le decisioni di Bruxelles a cui è appesa più della metà delle entrate necessarie per finanziare le misure per la crescita e taglio delle tasse. L’anno prossimo, infatti, l’Italia intende lasciar salire il rapporto deficit/pil al 2,2%, contro l’1,4% concordato con Bruxelles nel 2014. Uno scostamento che vale, appunto, circa 14,6 miliardi di euro. Per avere il semaforo verde della Commissione, Renzi e Padoan fanno appello ad alcune delle clausole di flessibilità introdotte a gennaio: attenuanti a fronte delle quali i governi possono ottenere più tempo per rispettare gli obiettivi di bilancio. La prima deroga chiama in causa le riforme strutturali, dal Jobs Act alla riforma della pubblica amministrazione passando per quella del fisco, passibili di avere un impatto positivo sul pil.
La scorsa primavera è stata già chiesta e ottenuta una deviazione di 0,4 punti percentuali, ora il governo vuole un altro 0,1% a fronte degli interventi in materia di crediti deteriorati e diritto fallimentare. Viene poi invocata, per un altro 0,3% del pil (5 miliardi), la clausola degli investimenti pubblici. In pratica si chiede alla Ue di poter dedicare 5,1 miliardi al cofinanziamento di opere che riceveranno fondi europei. La spesa totale, considerando anche le risorse comunitarie, ammonterà a 11,3 miliardi, di cui 3,1 saranno impiegati per trasporti e reti infrastrutturali, 1,6 per l’agenda digitale (banda larga, smart cities, sanità digitale), 1,3 per la competitività delle piccole e medie imprese, 1,2 miliardi per “occupazione e mobilità del lavoro“. Sempre sul fronte degli investimenti, il ddl ufficializza che la Cassa depositi e prestiti avrà il ruolo di istituto nazionale di promozione degli investimenti fatti in Italia con le risorse del Fondo europeo da 21 miliardi previsto dal piano Juncker. La cassa che gestisce il risparmio postale degli italiani potrà anche mettere a disposizione 8 miliardi di risorse proprie.
Infine, il governo si appella alla flessibilità per un ulteriore 0,2% del Pil anche per le spese sostenute a causa dell’emergenza migranti. Ma su questo fronte le possibilità che Bruxelles dica sì sono ridotte al lumicino. Anche perché Roma userebbe almeno 2 dei circa 3,1 miliardi in più che si renderebbero disponibili per finalità che con la gestione dell’immigrazione non hanno niente a che vedere: l’anticipo al 2016 della riduzione dell’Ires e dell’ampliamento della no tax area per i pensionati.