L'attore affida a Yahoo Movies i racconti dal set del suo nuovo film: “Ci sono almeno 30, 40 sequenze, o momenti dal set, che sono state tra le cose più difficili della mia carriera. Ricordo solo quando siamo entrati e usciti da un fiume gelato più volte rischiando l’ipotermia”
Nottate passate a dormire in carcasse di animali, pranzi a base di fegato crudo di bisonte e intere giornate al gelo rischiando l’ipotermia. Sono i racconti gore di Leonardo DiCaprio dal set di The Revenant rilasciati in un’intervista pubblicata da Yahoo Movies. Il 40enne attore hollywoodiano si è sottoposto alla cura Alejandro Gonzalez Inarritu, fresco Oscar per Birdman, durante il 2014 in scenari e temperature da urlo nei distretti canadesi dell’Alberta e British Columbia, come nella Terra del Fuoco argentina. Gli stenti, il freddo, la fame, il terrore, la mancanza di appigli per la sopravvivenza sono quelli di Hugh Glass, il trapper, cacciatore di pellicce e pioniere interpretato da DiCaprio, veramente esistito, che nel 1822 accettò di far parte di una spedizione di cento uomini con il fine di commerciare pellame risalendo il fiume Missouri dal Sud Dakota al Nord Dakota, fino al Montana. Leggenda o verità, si narra che Glass venne aggredito da un grizzly che verrà poi ucciso insieme all’aiuto di alcuni compagni. Solo che le ferite del pioniere vengono giudicate mortali e il capospedizione ordina di lasciarlo lì a morire. Glass, però, non crepa, anzi, recupera forze e, tra schiere di cattivissimi indiani e natura ulteriormente inclemente, insegue il manipolo di avventurieri traditori che l’ha mollato al suo destino per vendicarsi.
“La verità è che avevo capito in cosa mi stavo cacciando”, ha raccontato DiCaprio. “Alejandro e il suo direttore della fotografia Emmanuel Lubetzki sono molto precisi nel tipo di inquadratura da girare, e molto rigorosi nell’ottenere ciò che si sono prefissati. Se poi aggiungiamo che eravamo davvero completamente in mezzo alla natura incontaminata e alla mercé di qualunque evento atmosferico, questo set è diventato per me, come per tutta la troupe, il capitolo più intenso delle nostre vite più di quello che avrei mai pensato”. DiCaprio è stato costretto a dormire più notti all’interno di enormi carcasse di animali morti, ha mangiato carne cruda di animali del bosco (“vedrete la mia reazione istintiva nel film, Alejandro non l’ha tagliata”), senza dimenticare la costante temperatura sottozero delle praterie e dei monti innevati: “Ci sono almeno 30, 40 sequenze, o momenti dal set, che sono state tra le cose più difficili della mia carriera. Ricordo solo quando siamo entrati e usciti da un fiume gelato più volte rischiando l’ipotermia”, ha continuato l’attore. Si narra, tra l’altro, di parecchi figuranti e tecnici che hanno abbandonato il gelido sfondo in cui si girava The Revenant: “Non mi è mai sembrato che la situazione fosse fuori controllo. Si è cercato di ottenere qualcosa di molto ambizioso. Inarritu è incredibilmente specifico in quello che chiede ad attori e tecnici. Non avrebbe mai accettato nulla di meno di quello che voleva finisse sullo flash mob meschermo davanti agli occhi dello spettatore. Durante la lavorazione non sono venuto a conoscenza di quello che esattamente era successo, insomma, se qualcuno aveva abbandonato il set o che altro. Quello di cui sono certo però, è che chiunque è stato su quel set ha lavorato duro e ha messo anima e cuore per ottenere quello che Inarritu voleva”.
I ricordi e le impressioni di DiCaprio dal set di The Revenant evocano altri momenti “estremi” dai set nella storia del cinema contemporaneo. Basti pensare a Into the wild di Sean Penn, o alle terrificanti lotte al limite della sopravvivenza sui set brasiliani e peruviani di Werner Herzog per Fitzcarraldo e Aguirre, furore di Dio (su questo tema c’è un bel libro di memoria del regista tedesco: La conquista dell’inutile – Mondadori). Memorabili anche le avventure sul confine colombiano-brasiliano dei quattro interpreti di Cannibal Holocaust (1980). Francesca Ciardi, Perry Pirkanen, Luca Barbareschi, e Gabriel Yorke, nel film torturati e scuoiati dagli indios, vennero addirittura dati per morti durante le riprese, almeno fino a quando il film uscì in sala e di fronte all’accusa di omicidio da parte di un giudice milanese, il regista Ruggero Deodato e la produzione dovettero mostrare che gli attori erano ancora vivi e vegeti negli Stati Uniti.